lunedì 21 giugno 2021

Hora, la Danza Sacra

Di tutte le danze del folclore rumeno la Hora è forse una delle più sentite e appassionate. Eseguita in cerchio da sole donne, da soli uomini o da entrambi, è la sola danza rumena in grado di raccontare la storia del suo popolo, la sacralità del legame tra umano e divino. Da dove il nome di questa danza tragga la sua origine è poco conosciuto, ma di certo vanta origini davvero antiche.


Possibile origine del nome
Horai oppure Horae, per i pelasgi si chiamavano così le vergini amazzoni guardiane della Montagna Sacra conosciuta come Olimpo.
Le tre Horae per i popoli ellenici divennero poi la personificazione delle Stagioni e dell’ordine naturale di tutte le cose.
Ma le Horae (Ore), sorelle delle Moire, a loro volta rimasero Guardiane dell’Olimpo, proprio come le Horai del popolo pelasgico. Erano le Ore, leggiadre fanciulle, le dorate figlie di Themis, a sorvegliare le Porte dell’Olimpo. Danzando facevano apparire o scomparire le porte dell’Olimpo in una densa cortina di nuvole, proprio come nella Hora tradizionale rumena il cerchio di danzatrici si apre per accogliere le fanciulle meritevoli.
Hora per i rumeni, Kolo per i popoli dell’ex Yugoslavia, Horo per i bulgari e Choro per i greci.
Pare che proprio Kolo, indichi la Ruota nella lingua slava antica, simbolo usato spesso per indicare il dio Sole. Termine che pare tragga a sua volta origine tracica. Gli stessi traci usavano la parola kolo per indicare la ruota in un contesto rituale ben definito, legato al mito del Sole, alla sua adorazione.

Testimonianze antiche, feste e simboli
A Bodestii de Jos, nel distretto di Neamt, in Romania, è stato scoperto nel 1942 un supporto antropomorfo rappresentante sei fanciulle nude. Il maestro che ha modellato la ceramica nel IV millenio a.C non si è curato di riprodurre la testa, le braccia o le gambe. Egli si è premurato solamente di modellare i fianchi ed i glutei, uniche parti che esprimono con chiarezza la femminilità di quel cerchio stretto su se stesso. Gli ovali che dividono tra loro il torace, i fianchi e le gambe, i cerchi che lasciano intuire il collo, sono elementi che danno movimento al supporto.

Come fossero raccolte in preghiera, le vergini paiono concentrate sulla loro danza, poiché questa deve riportare la Vita, deve riportare il Sole, l’acqua e il grano, l’abbondanza e la fertilità. Il loro girotondo è lo stesso ciclo che Sole e Luna compiono.
Sono svestite, l’Antenato maestro della cultura Cucuteni non si è “disturbato” a tracciare linee che facciano intuire che le fanciulle indossino vesti. Sei vergini danzanti che riportano la vita sulla Terra, nude e splendenti, raccolte e strette le une alle altre in un patto di sorellanza. E non c’è alcuna vergogna nella loro nudità, ma la decorosa bellezza di chi spogliandosi si è resa trasparente e simile alla Natura, che non ha bisogno di fronzoli, perché ha già in se stessa tutto lo splendore.
I loro piedi toccano la Terra che le ha partorite, il loro viso inebriato cerca la Luce. Le mani serrano il cerchio e così celebrano il prodigio della Vita nascente. Le energie si concentrano nel loro cerchio e la follia gioiosa s’impadronisce dei loro corpi, che sempre e comunque rimangono liberi.
Un supporto di ceramica che vive e sopravvive ai secoli, che porta fino a noi quella danza gioiosa una volta eseguita in completa armonia. Che fosse notte o giorno, i corpi delle danzatrici svelavano la loro bellezza e con essa riportavano il calore del Sole e il prodigio della Rinascita. I loro nudi piedi sfioravano appena i prati e le loro sagome si intravedevano sulla linea di confine delle colline. Le trecce sciolte al vento, i fianchi ondeggianti pieni della primordiale bellezza, le voci che intonano canti rendendo ancor più ritmico e sacro il passo di danza, ogni cosa pare concentrata in quell’oggetto ritrovato che non ha forse funzioni di calice e non serviva forse a nessun scopo che non fosse quello di immortalare il gesto di adorazione degli Dei. I piedi sono la Terra, i fianchi uniti delle fanciulle rappresentano la Forza che Genera e le loro braccia sono la Forza Spirituale che tutto Trasforma.

La Hora sembrerebbe il legame tra il culto della Dea Madre esistente e quello del Sole (Mitra) subentrato in seguito.
In Romania la Hora è molto evocativa, una danza che accompagna l’individuo dal momento nel quale entra nel cerchio/società fino al momento in cui lascia il cerchio/la vita.
La Hora come momento iniziatico. Si apre per ammettere i fanciulli. La Hora come momento iniziatico delle singole coppie che uniscono la loro vita in matrimonio, danza meglio conosciuta con il nome di Perinita (piccolo cuscino). La Hora che ammette l’ingresso di coloro che portano a termine un periodo di lutto, la Hora come danza in onore degli antichi dei venerati in nuove forme.
La Hora, questo “prodotto culturale” della Romania, rappresenta in un certo senso l’istinto sociale.
Gli individui si muovono all’interno della società in una sorta d’onda di attrazione e avversione verso un dato elemento, così accade anche nel cerchio della Hora che si stringe, contrae e si decontrae mai staccandosi. Non dico che sia da considerare la danza degli eletti, come nella società capita di vedere cerchi di eletti impenetrabili, ma fino a due decenni fa l’importanza di questa danza era data dai privilegi ma anche dagli obblighi che si avevano entrando a far parte del cerchio.

Le hore sono il momento privilegiato del quale la società rurale ancora gode. Una delle ricorrenze più festose che vede al centro dell’attenzione la Hora è la festa delle Sanziane.
Le Sanziane, si dice ancora oggi, pare siano fanciulle di rara bellezza che abitano i boschi, le radure e i campi, lontane dagli occhi dei mortali. Nella magica notte del Solstizio si spogliano delle loro vesti e unendosi in una sinuosa Hora, danzano sopra i prati e i campi coltivati rendendoli fertili. La loro danza furiosamente giocosa fa scintillare i prati dove posano i passi (le lucciole) e i loro canti e la loro magia danzante dona poteri straordinari alle piante, soprattutto alle erbe selvatiche o infestanti che dir si voglia. Queste acquistano poteri magici in grado di guarire i malati.
Donano fecondità e abbondanza ai campi, fertilità alle donne, moltiplicano gli uccelli nel cielo e il bestiame in terra, guariscono i malati e proteggono le coltivazioni dalla grandine. Le Sanziane sono divinità antropomorfe tanto belle quanto terribili. Sorprenderle nella loro nuda bellezza porterebbe sventura al malcapitato. In verità agli uomini era sconsigliato girare per i boschi la notte delle Sanziane, poiché i rituali iniziatici femminili dovevano avere la libertà che Natura ci ha dato.

    

“Questo giorno, tra circa una decina di ragazze, secondo alcuni criteri che sono sempre mutati nel tempo, veniva scelta la Dragaica, colei che avrebbe impersonato la Dea della Protezione cereale.
Veniva adornata di spighe di grano, di fiori colorati come lo statice, mentre le altre ragazze si vestivano di bianco, coprendosi il volto con un velo bianco sul quale venivano fermati con spillini i fiori di Erba Zolfina. In mano portavano un falcetto piccolo oppure una falce grossa di quelle che si usano per la mietitura.
Una volta formato, il corteo cammina per le strade del paese e nei campi di cereali. Nei campi, correndo gioiose, girando in cerchio, lasciandosi andare a gridolini di gioia, le ragazze sventolano grossi batik al vento.
Durante le soste, soprattutto organizzate agli incroci delle strade, accanto alle Fonti oppure ai Pozzi, le fanciulle del corteo siedono in cerchio e cantano. Viene mimata anche una lotta con i falcetti.

   

Alla fine dei canti e delle danze ricevono doni dal proprietario del campo di cereali al quale hanno offerto la loro danza rituale propiziatoria.
La festa delle Sanziane è molto diffusa nel sud est della Romania e tutt'oggi viene festeggiata come nei tempi antichi, anche se i contadini la definiscono una festa “cattiva”. È definita cosi perché si crede che se tale festa venisse ignorata, o in quel giorno si lavorasse, porterebbe male e infelicità, o addirittura la morte.
Sempre le vecchine delle campagne credono che, se una ragazza giovane voglia trovar marito presto, debba rotolarsi ignuda nell'erba umida dell’aurora e sempre al mattino presto lavarsi con la rugiada. Lo stesso rituale possono compierlo anche le donne adulte e già sposate per farsi amare dal marito e per avere figli belli e in salute.” (1)

In tutte le società, la danza rituale ha rappresentato una parte fondamentale della vita dell’individuo e ci si augura profondamente che certi rituali, certe danze, non trovino mai una fine. Sopravvissute per millenni, non possono trovare la loro fine in questa società che ostenta con fierezza la sua ignoranza e vuotezza. Sono certa che la fuori, come mi è capitato di vedere, ci sono ancora fanciulle che cingono con le mani il bacino della fanciulla accanto a loro e intraprendono una danza che le lega profondamente a Madre Terra.
Speranzosa guardo alle radure notturne certa di scorgere delle moderne Sanziane, che danzano in cerchio celebrando la vita, innalzando il loro spirito. E quando penserete di aver intravvisto una lucciola, non siatene mai certi, perché quello scintillio nell’erba notturna, potrebbe essere la scintilla che scaturisce dai passi danzanti delle donne selvagge che abitano la notte.

*Articolo scritto nel maggio 2012 e pubblicato sulla vecchia Contea https://www.laconteaincantata.net/ che non esiste più.


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Note:
1. Citazione da Sanzianele: le Fanciulle del Solstizio, articolo di Rebecka per La Contea Incantata

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Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ore
https://www.theoi.com/Ouranios/Horai.html
https://dacia.8m.net/Cultura/Spiritualitatea/Traditii_si_obiceiuri/Hora/hora.html
https://www.neamt.ro/cmj/istorie/cucuteni/imagini/Cucuteni_005.htm
https://antonymary.blogspot.it/p/sanzienele.html
https://www.angelfire.com/folk/hora/
https://spiritromanesc.weebly.com/datini-si-obiceiuri.html
https://www.traditionalromanesc.ro/articol/articole/reportaje-interviuri/soarele-in-credinta-populara_805.html
https://www.viitor.3x.ro/nr13/frameset.php?target=05-ion

Immagine 2: Ängsälvor, di Nils Blommér
Altre immagini: dalla rete

venerdì 13 marzo 2020

Il Re Sacro: le Cerimonie dell'Orso

Susan Seddon - Dancing Bear
E’ il signore incontrastato della foresta. Egli è maestoso, imponente, egli rappresenta la forza incontrastata che fa da perno tra la natura e l’uomo. Le sue dimensioni e la sua andatura lenta lo fanno sembrare incapace di azioni improvvise, ma egli è imprevedibile. Egli è forza e coraggio e la sua caverna, dove dimora e si ritira in letargo, è il ritorno nel ventre di Madre Terra.

L’orso e i suoi poteri sono antichi quanto lo è la sua venuta al mondo e le tradizioni che ne derivano sono tutte antiche quanto lo è l’umanità e il sciamanesimo. Si ritiene che la culla dello sciamanesimo sia da sempre la Siberia. E’ qui che questa ‘religione’ animista ha preso forma, si è sviluppata ed è da qui che si è irradiata nel mondo (Asia, Europa, Nord America).
La parola sciamanesimo, deriverebbe da sama:n parola con la quale il popolo Evenki (tungusi) indica colui che possiede poteri di incantazione. La parole dovrebbe significare frenesia, parossismo.
Lo sciamanesimo ha radici antichissime, lo testimoniano diversi graffiti rupestri del territorio scandinavo e siberiano. Per le società animiste, lo sciamanesimo era, ed è tutt’oggi, l’espressione di un modo di vivere la natura, di sentirla quale legame tra il destino degli umani e le forze ultraterrene. Non vi erano leggi, né templi, perché il Tempio più grande era Madre Terra. Ogni luogo era sacro perciò destinato ad essere tempio di preghiera e di riti. Il sapere degli antenati fluiva attraverso la natura, per discendere nei nuovi sciamani, ed il sapere atavico era multiforme. La medicina e la magia naturale erano così fortemente e indistricabilmente intrecciate da essere un tutt’uno. Lo sciamano era medico, cacciatore e mago. Nello sciamanesimo le malattie erano solo percorsi esistenziali che l’anima umana intraprendeva nella grande foresta. Più le malattie erano gravi, più l’anima umana si era addentrata nella grande foresta smarrendo il sentiero, ed è in quelle occasioni che entrava in scena lo sciamano che diventava cacciatore e guida dell’anima smarrita.

lunedì 9 marzo 2020

Odisseo: il Viaggio del Re Divino

Odysseus - Alan Lee
Ulisse il Cretese, Ulisse, il principe di Creta. Tutte menzogne! Chi non sa che Ulisse fu re di Itaca, una piccola Isola del mare Ionio, distante da Creta parecchi giorni di navigazione verso nord?
Sì, Ulisse forse. Ma quando l’autore dell’Odissea lo chiama costantemente Odisseo, nome tipicamente cretese, quando lo fa mentire, giocare d’astuzia e travestire da un punto all’altro dei suoi racconti, quando l’eroe sempre menzognero dice lui stesso, senza sorridere, per tre o quattro volte: «Lo sapete bene: sono Cretese», cosa bisogna credere?
Basta dire che Odisseo, come Epimenide, era realmente cretese, l’unica verità che si libera, nuda e cruda, dall’abisso di tenebre in cui i ragionatori avevano preteso di farla scomparire.
« Narrami, o Musa, di quell'uomo versatile che molto tempo vagò dopo che ebbe gettato a terra le sacre torri di Troia »
(incipit)

Nasce nella storia del mito un Re, un iniziato ed un iniziatore, un geniale creatore oppure l’archetipo del suo tempo: quello del grande viaggiatore, che fa del pontos (mare) un ponte verso i mondi sconosciuti.
Lui, l’iniziato delle molte Dee che lo portano man mano, attraverso le avventure che affronta, ad essere il Divino/Uomo che da buon iniziato che ha superato la prova della mortalità/immortalità, può ora essere iniziatore di altri giovani che intraprendono il viaggio medesimo, la Cerca profonda, il riconoscersi all’interno di sé, morendo per rinascere ed esser riconoscibili nel mondo. Lui, che Omero definisce il Piccolo, il Costante (polytlas), l’Ingegnoso (polymetis), l’Astuto (polymekhanos), il signore dalle mille vie (polytropos), l’Illustre (polyainos), lui, il Divino (theios) Odisseo.
«Nessun’altra successione o progressione se non quella cronologica. Ma un centro, un cuore, un’anima: Creta, la sua patria.» (1)

sabato 7 marzo 2020

Odisseo: nei Sacri Giardini Segreti

Una Dea alla quale consacrare le acque e tutte le meraviglie vegetali manifeste, una Dea dal volto di fiori, nelle cui corolle contemplare la bellezza del cosmo, Lei così piena e ricca, Creatrice e Signora della Non-Morte. Nel Giardino Segreto, nelle erbe solo la tellurica presenza d’Ella, che sovrintende alla fertilità e alla fecondità.

Per i greci il giardino non era come un’opera d’arte, tuttavia Omero ce ne mostra due tipologie nell’Odissea: il Giardino Della Fecondità quello di Alcinoo, la cui bellezza e ricchezza corrispondono ai suoi frutti sempre presenti, dove vengono bandite le stagioni, dove è eterna primavera, ed essa viene immortalata nell’immagine di alberi dove frutti e fiori rendono ricchi i rami allo stesso tempo, nella stessa stagione.
E poi v'è un altro giardino, il Giardino Degli Immortali, la Casa della ninfa Calipso, dove la natura non è più solo la feconda produttrice di frutti e fiori, ma in essa si ricerca la bellezza e l’armonia primordiale fra l’uomo e il paesaggio che lo circonda, dove si ricerca l'antica e autentica bellezza della Grande Madre nel suo aspetto selvaggio ed indomito.

“La Natura, Femmina Antica potente ed Arcana, è il corpo della Grande Madre, un corpo che nell’Odissea non è solo paesaggio che completa un canto epico e che colloca le relazioni degli umani in diversi quadri. E’ un corpo partecipe che dona, toglie e rinnova, che è vita, morte e rinascita, che è complice degli intrecci sentimentali e delle avventure, complice della magia dei Passaggi, delle Soste, complice delle morti iniziatiche, delle trasformazioni e delle metamorfosi.” (1)

giovedì 5 marzo 2020

Fragola: il frutto del Rinnovamento

Fragola, frutto solare, promessa di abbondanza e di rinnovamento. Dopo l’oscurità invernale, scioltasi la neve, con il primo caldo compare lei, rossa, polposa e succosa, profumata, bella come una danzatrice.

Secondo Cattabiani, nel suo Florario la fragola è legata ai culti solari. Ci sono alcune leggende che narrano di fragole divenute carrozze solari; una leggenda tedesca racconta che prima della notte di San Giovanni, le madri che avevano perduto un figlio evitavano di mangiare la fragola, frutto caro alla Madonna, per evitare di recarle offesa. Si riteneva infatti, che i bambini morti prematuramente, raggiungessero il Paradiso dentro al frutto della fragola. Per tale ragione, le madri evitavano di mangiare il frutto, poiché consumarlo equivaleva a distruggere la carrozza che portava i figli verso il divino.
Sempre Cattabiani, racconta che secondo un canto popolare inglese, i pettirossi coprivano i corpi dei figlioletti morti nella foresta con le foglie di fragola. “Il significato del mito è chiarissimo: la foresta rappresenta sia la notte sia l’inverno, quando il sole scompare realmente o simbolicamente nelle tenebre dei senza luce. Sicchè il pettirosso morto e sepolto sotto le foglie di fragola allude nel bestiario simbolico all’eroe o all’eroina solare perduti o morti nel bosco per il maleficio di una strega, ma in attesa di «tornare alla luce», cioè alla futura salvezza o resurrezione come i rossi frutti a primavera.” (1)

martedì 3 marzo 2020

Maslenitsa e le feste del Risveglio

La fine dell’inverno è costellata da bellissime feste in tutto il Mondo. Forse queste feste sono il primordiale bisogno degli umani di richiamare all’attenzione il giovane Dio dormiente che rende la Primavera e l’Estate più grata ed i campi più abbondanti di raccolto.

Mentre il rigore dell'inverno ancora ammanta di incantata bellezza la Natura, gli abitanti del villaggio si raccolgono intorno a scivoli di ghiaccio ed intonano bellissimi canti per risvegliare il dio Jarilo, sacrificando la Signora dell'Inverno, la Terribile e temuta Morana. Percorrono le viuzze con le loro slitte addobbate da nastri e specchi, con le sedute coperte da pelli di pecora, nei loro tradizionali e allegri vestiti che raccontano di un ricco folclore e tra gridolini di gioia, invocano il Risveglio del giovane Dio della Vegetazione

Domenica in Russia si è conclusa la settimana dedicata ad una delle più belle feste che ancora perdurano in Europa: Maslenitsa. Un'antica festa pagana, che vista l'impossibilità per il sopraggiunto Cristianesimo di estirparla dai cuori della popolazione, hanno adottato nel calendario ortodosso spostandola di data. Ora la festa coincide con la settimana prima dell'inizio della Quaresima, mentre in antichità pare coincidesse con la festa della Candelora, come accade per i francesi e la loro bellissima Chandeleur.

lunedì 2 marzo 2020

Zalmoxis: l'Immortalità dell'Anima

old Zalmoxis - Author unknown
Zalmoxis, il fanciullo dalla pelle d'orso, il cui viaggio iniziatico segna un percorso della spiritualità degli antichi popoli rumeni, il cui culto misterico viene spesso paragonato a quello di Sabatio, il trace Dioniso.

In un tempo lontano, nel tempo in cui gli esseri umani conoscevano solo la pace e la felicità, in quei luoghi dove nulla poteva turbare la serenità e la quiete dell’animo umano o dei luoghi in cui essi vivevano, nei luoghi benedetti dalle parole sacre dei sacerdoti delle vecchie tradizioni, esisteva una terra ricca, con montagne e boschi e cacciagione a volontà, dove la terra offriva il meglio di se e il raccolto abbondava, ricca di tutto ciò che la terra nelle sue profondità custodiva. I greggi avevano erba a volontà, un’erba così ricca che non esisteva su altro luogo del pianeta, e le api producevano un miele così dolce che in nessun altro luogo altre bocche avevano assaggiato.
Tutte queste ricchezze erano possedute da un popolo coraggioso e lavoratore, orgoglioso e onesto. Ursitoarele, le tre donne della sorte, erano dalla parte di questi uomini che non erano altri che i geto-daci. Tutto ciò che le Ursitoare predicevano si avverava e il popolo faceva quanto in suo potere affinché le ricchezze abbondassero.
Ebbene, un giorno in seno a questo popolo nacque un giovane che avrebbe conosciuto un destino singolare: avrebbe portato sulle sue spalle le sorti del popolo dacico e mai né mente né animo avrebbero conosciuto il passare del tempo. Lo spirito sarebbe sempre stato giovane e il cuore in eterno avrebbe battuto per i suoi sudditi. Ma Zalmoxis, perché questo era il nome del giovane, non poteva ancora conoscere la sorte che gli era destinata.