venerdì 13 marzo 2020

Il Re Sacro: le Cerimonie dell'Orso

Susan Seddon - Dancing Bear
E’ il signore incontrastato della foresta. Egli è maestoso, imponente, egli rappresenta la forza incontrastata che fa da perno tra la natura e l’uomo. Le sue dimensioni e la sua andatura lenta lo fanno sembrare incapace di azioni improvvise, ma egli è imprevedibile. Egli è forza e coraggio e la sua caverna, dove dimora e si ritira in letargo, è il ritorno nel ventre di Madre Terra.

L’orso e i suoi poteri sono antichi quanto lo è la sua venuta al mondo e le tradizioni che ne derivano sono tutte antiche quanto lo è l’umanità e il sciamanesimo. Si ritiene che la culla dello sciamanesimo sia da sempre la Siberia. E’ qui che questa ‘religione’ animista ha preso forma, si è sviluppata ed è da qui che si è irradiata nel mondo (Asia, Europa, Nord America).
La parola sciamanesimo, deriverebbe da sama:n parola con la quale il popolo Evenki (tungusi) indica colui che possiede poteri di incantazione. La parole dovrebbe significare frenesia, parossismo.
Lo sciamanesimo ha radici antichissime, lo testimoniano diversi graffiti rupestri del territorio scandinavo e siberiano. Per le società animiste, lo sciamanesimo era, ed è tutt’oggi, l’espressione di un modo di vivere la natura, di sentirla quale legame tra il destino degli umani e le forze ultraterrene. Non vi erano leggi, né templi, perché il Tempio più grande era Madre Terra. Ogni luogo era sacro perciò destinato ad essere tempio di preghiera e di riti. Il sapere degli antenati fluiva attraverso la natura, per discendere nei nuovi sciamani, ed il sapere atavico era multiforme. La medicina e la magia naturale erano così fortemente e indistricabilmente intrecciate da essere un tutt’uno. Lo sciamano era medico, cacciatore e mago. Nello sciamanesimo le malattie erano solo percorsi esistenziali che l’anima umana intraprendeva nella grande foresta. Più le malattie erano gravi, più l’anima umana si era addentrata nella grande foresta smarrendo il sentiero, ed è in quelle occasioni che entrava in scena lo sciamano che diventava cacciatore e guida dell’anima smarrita.

Ho sempre interpretato lo sciamanesimo come religione e sapere Primordiale, poiché le forze della natura e le energie alla natura legate esistono da sempre, c’erano ancora prima dell’uomo. Così quando l’uomo venne partorito dal Grembo della Terra, di fronte alla bellezza selvaggia della Terra non poté fare altro che inchinarsi e venerarla. L’uomo di allora spiegò fenomeni naturali come la pioggia, il vento, i fulmini come forze manifestate da Dei e forze ultraterrene, personificazioni divine dei fenomeni naturali terrestri e dell’universo.
Lo sciamano è il depositario di tutte le conoscenze, le più antiche. Non esistono scritti al riguardo e tutto ciò che fin cui è giunto è dovuto alla tradizione orale, unico metodo di trasmissione del sapere sciamanico. Allo sciamano appartengono strumenti quali il tamburo, gli strumenti musicali e le maschere, statue raffiguranti l’effige degli spiriti verso cui trasmigrare. Le maschere in questo contesto sono quelle che interessano di più, perché la ricerca ruota intorno alla maschera dell’orso, ai poteri dell’orso e che da lui derivano.
L’orso, animale forte, animale totemico è presente in tutte le culture, in tutti quei continenti dove c’è o c’è stata la sua presenza.
Da sempre, la stragrande maggioranza di animali che vengono adorati, sono quei animali che uniscono doti terrifiche a doti benevoli quali coraggio e lealtà. L’orso, per sua natura è temuto, ma allo stesso modo è anche venerato per il coraggio che dimostra, per la sua forza imponente.

In Romania, il culto dell’orso è presente fin dai tempi dei geto-daci e già allora era considerato un animale sacro. Il nome Zalmoxis (importante divinità rumena/leggi la legenda che lo riguarda) confermerebbe il fatto che l’orso era un importante animale totemico della tradizione dacica (zalmo=pelle e olxis=orso). Secondo Romulus Vulcanescu “il nome Zalmoxis potrebbe essere un appellativo tabù del dio del cielo e del sole, nella sua veste umana, un portatore di pelle di orso, non tanto come nebride¹ ma come maschera realizzata con una testa di orso, utilizzata durante le cerimonie e rituali che si svolgevano in Dacia in onore dell’orso carpatico.”
Questa affermazione porterebbe a pensare gli studiosi come Vasile Lovinescu e Adrian Bucurescu che Zalmoxis sia stato, prima di leggenda, una sorte di capo di una congrega religiosa o confraternita di guerrieri (mannerbunde) del tutto simile ai berserker scandinavi.
In antico norvegese berserk significa “pelle d’orso” e designava per l’appunto le ben note figure di guerrieri invasati e feroci. Il guerriero a capo di queste bande quasi sempre prendeva il nome di Björn. Björn, deriva probabilmente dal norreno che significa “orso”, ed è presente anche nel nome Ásbjörn (áss=dio e björn=orso).
La presenza dell’orso nel tempo all’interno di numerose leggende fa di lui il paradigma incarnato del guerriero. Gli attributi e virtù dell’orso si trasferiscono nel corpo guerriero ed è così che in un certo senso il Re Divino discende e prende forma umana nel corpo del guerriero. Artù, l’Orso di Britannia oppure Beowulf, il guerriero tragico il cui nome significa “lupo delle api”, così come lo ‘svela’ Stephen Glosecki in Wolf of the Bees: Germanic shamanism and the Bear Hero, Journal of Ritual Studies.
In antico inglese bera era il termine utilizzato per l’animale, mentre il sinonimo beorn assunse il significato prevalente di guerriero.

Il ruolo cosmogonico dell’orso per i geto-daci è di importanza fondamentale, poiché è sulla schiena dell’animale che è posto il mondo.
Nel nord della Romania, l’orso da sempre è stato investito di virtù apotropaiche, terapeutiche e metereologiche. Esiste da tempi immemori la credenza che se il nuovo nato veniva unto con il grasso dell’orso ancor prima del bagnetto, questi avrebbe acquisito la  forza e la fortuna dell’orso. I malati venivano ‘affumicati’ con il pelo strappato all’orso e ai giovani particolarmente malaticci c’era l’usanza di cambiare il nome, prendendo il nome di Urs (orso) attraverso un rituale di battesimo diverso da quello cristiano.
I rumeni hanno dedicato all’orso molti giorni di festa. Ma tra i più importanti e festeggiati ricordo il 2 febbraio chiamato Giorno dell’Orso (oppure Martino d’Inverno, Candelora) giorno in cui si fanno prognostici sulla fine del grande freddo invernale. L’orso viene festeggiato anche nel Sabato dell’Orso (Sâmbăta Ursului/ Sântoaderilor), il primo sabato di quaresima prima di Pasqua. E all’orso viene dedicato anche il 1° agosto, giorno conosciuto come Impuiatul Ursului o Martinii de Vara (Riproduzione dell’Orso, i Martino d’estate) periodo degli amori dell’orso, quando iniziano gli accoppiamenti.
“Di tutte le bestie della terra, il buon Dio ci ha dato l’orso, la più preziosa e forte delle fiere, pericolo smisurato per gli animali dell’aia, poiché mangia una mucca proprio come noi mangiamo un pollo.” (1)

Ma ritorniamo al 2 febbraio, ai Martinii d’Inverno. Nei villaggi, da molto più tempo di quanto si riesca a ricordare, i contadini hanno chiamato affettuosamente l’orso con il nome di Martin. E’ da qui che le due feste maggiori che vedono coinvolto lo spirito dell’orso prendono il nome di Martin/Martinii. Il 2 febbraio si dava importanza all’orso e agli atteggiamenti che mostrava, poiché in base a questi i contadini facevano prognostici sul Novello Anno agricolo.
“Per ottenere l’attenzione dell’orso, i contadini e le genti del villaggio, sovente mettevano carne fresca e vasi di miele sui sentieri dove erano soliti passare gli orsi.
Si riteneva, e tutt’ora in qualche sperduto villaggio c’è chi crede, che i poteri dell’orso potevano trasferirsi da lui all’essere umano, bambini in particolar modo, se questi venivano unti con grasso di orso.
I malati si ‘spavento’ (si dice così di tutte quelle malattie psichiche come la schizofrenia paranoide) in questo giorno venivano ‘curati’ con fumigazioni ottenute bruciando il pelo dell’orso.
In questo giorno, si credeva, che se era soleggiata, l’orso usciva dalla tana e vedendo la sua ombra si spaventava rientrandovi, annunciando così il prolungamento dell’inverno di altre sei settimane. Al contrario, se c’era nuvolo il giorno della Candelora, l’orso non spaventandosi della propria ombra, rimaneva fuori preannunciando così l’arrivo della primavera. Per altro, anche un antico proverbio italico recita: “Per Santa Candelora se nevica o se plora dall’inverno siamo fora; ma se l’è sole o solicello, siamo sempre a mezzo inverno”.(2)

Il Sabato dell’Orso, si festeggiava e si festeggia tutt’ora il primo sabato prima della quaresima pasquale. E’ il giorno conosciuto anche come Sântoader  o Sf. Leon (San Leone, Papa Leone I). I giorni di Sântoader  i giovani non sposati si misuravano nella corsa con i cavalli, poiché esiste la credenza che Sântoader ha il potere di trasformarsi in cavallo. Le attività femminili come la tessitura erano vietate, e per aver rispettato questo divieto, Sântoader ripagava le donne donando loro capelli lunghi e folti. Queste si lavavano i capelli con l’acqua nella quale avevano messo il fieno della mangiatoia dei cavalli.
Sântoader è tenuto in gran considerazione, per il miracolo di aver salvato l’umanità da un serpente che ogni anno divorava un bambino. Egli, in sella ad un cavallo bianco, con le chiome algide come la neve impugna la lancia fulgida con la quale trafigge il serpente pronto a divorare la figlia di un re. San Teodoro, in questo contesto è del tutto simile a San Giorgio. Anche egli, secondo la «leggenda aurea» in sella ad un cavallo uccise il drago pronto a divorare la principessa Silene, figlia del re di Selem.
In Romania si ritiene che protegga coloro che subiscono torti. Si dice infatti che in sella al suo cavallo, percorra i freschi aliti notturni andando incontro al malfattore e con un salto, il cavallo assale colui che si è macchiato di brutalità e lo pesta con gli zoccoli finché questi non si ammala gravemente o muore.

Ma torniamo al nostro orso, venerato dai contadini e dalle donne medicina, portatrici di saggezza e conoscitrici delle erbe medicinali. L’orso nelle credenza rumena, aumenta il potere magico delle piante destinate alle guarigioni e di quelle erbe destinate a rituali magici. E per questa ragione che le anziane conoscitrici degli antichi rituali, pratiche in incantesimi e magie, interravano offerte accanto alle radici delle piante medicamentose che intendevano cogliere in una determinata notte di luna piena, che solo loro conoscevano.
Sempre in questo giorno le donne preparano torte di zucca come offerte, onde evitare di inimicarsi l’orso, affinchè questo non si mostri sul loro cammino durante il periodo estivo, quando sono nei boschi a raccogliere more di rovo e lamponi, affinchè l’orso non attacchi le aie e gli animali al lavoro nei campi. Le donne di conoscenza tengono in considerazione Sâmbăta Ursului per avere figli sani e per tale ragione rispettano tutte le interdizioni. Non cantano, ne pronunciano il nome dell’animale “non tessono, ne fanno altri lavori che comporterebbero graffi” e tuttavia se capita che lavorino a qualcosa che è tabù in quel giorno “fanno un nodo con una catena intorno alla canna fumaria, così che anche la bocca dell’orso rimanga chiusa affinchè non attacchi qualche bovino”. (3)

L’orso, quale animale totemico della tradizione arcaica rumena, è così venerato tanto da credere che se i propri figli prendono il nome di questo animale, oltre al trasferimento del nome, vi è anche un ‘trasferimento’ magico delle virtù che lo caratterizzano come forza, potere e lealtà. Altresì, c’è la credenza che egli solo, affiancando le Ursitoare (le Parche rumene, che hanno nel nome la radice urs=orso), presiede gli ultimi mesi di gravidanza della madre e del futuro nascituro decidendone le sorti e qualora le Ursitoare non siano state troppo benevoli, le convince a destinare il nascituro ad una vita felice.
Notte tempo, gli uomini portavano un dente d’orso quale talismano ed avevano l’abitudine di invocare lo spirito dell’orso (mascherati egli stessi da orso) sia nelle notti di veglia, sia nelle notti di Passaggio da un anno all’altro.
“Raccontano gli anziani che, fin dai tempi antichi, l’orso è stato considerato anche come animale che guida le anime dei defunti, aiutandole affinchè non smarriscano la via verso il Mondo Altro, poiché egli ha la capacità magica di tenere lontane le forze del male. Egli teneva lontani gli spiriti malevoli e le malattie e per tale ragione i contadini durante Sâmbăta Ursului ricevevano gli ursarii (coloro mascherati da orsi) portatori di salute, di abbondanza e fortuna.
In alcuni racconti, l’orso è sotto il segno della Luna, poiché lui accompagna le stagioni nella loro successione, e la vegetazione segue il ritmo del letargo in pieno accordo con i ritmi della costellazione che ne porta il nome: l’Orsa Maggiore.” (4)
Elena Niculiţă-Voronca nel suo Datinile şi credinţele poporului român adunate şi aşezate în ordine mitologică dice che “l’orso è come un umano: si costruisce la sua casetta e vi porta dentro ogni bene; solo che non possiede il fuoco”. (5) Questo a ricordare che l’orso e tutte le creature di Madre Natura sono uguali a noi nel costruire la vita, con la differenza che non possiedono la capacità di accendere un fuoco, ma sicuramente sono molto più benevoli della razza umana.

Tra le molte tradizioni, per il buon andamento delle cose della vita, i contadini tagliano il pelo dalla fronte dei bovini, e recidono la coda, tagliano i capelli ai bimbi piccoli e mettono tutto in mezzo ai germogli dei salici, affinchè sia i peli degli animali che i capelli dei bimbi crescano come il salice.
Il giorno del Sabato dell’Orso è chiamato anche Preveghiul cel Mare (Il Grande Veglione) per la notte di festa che nessuno manca di onorare o Alimorii (nome dato alla grande ruota che infuocata percorre dalla cima alla valle la collina sopra i villaggi in segno di purificazione del villaggio e delle anime che lo abitano, umani o animali che siano.
Nei villaggi dei Monti Apuseni, le ragazze di 14 anni praticano un particolare rito di passaggio che è comune a molte tradizioni. Si lavano i capelli con acqua e liscivia, con l’utilizzo di una pianta che in questa regione viene chiamata parlangină un’erba che profuma solo in primavera e che portano in seno le donne sposate (un’erba il cui nome non riesco a trovare in altre regioni per poterla tradure) e foglie di edera. Fino a quel momento della loro vita avevano portato i capelli tirati indietro, senza alcuna riga, mentre dopo questa detersione rituale i capelli vengono divisi e viene fatta la riga in mezzo, segno che le contraddistinguerà per l’avvenuto passaggio. Questo cambio di pettinatura simbolizza il passaggio dall’età di infante a quella di fanciulla (vergine). Le anziane ricordavano sempre alle fanciulle di non buttare mai l’acqua con la quale si erano lavate i capelli giù per terra, ma di farla ‘saltare’ in aria, oppure rovesciare l’acqua utilizzata sulle radici di un albero affinchè i capelli crescessero folti come la chioma dell’albero.

Sempre le ragazze non sposate, la mattina prima di sabato, raccoglievano radici di enula campana (in Romania chiamata iarba mare, ochiul boului, lacrimile Elenei, omanul), pianta con innumerevoli utilizzi cosmetici e utilizzi magici di incantamento. Nel raccogliere le radici lasciavano pane e sale e pregavano Sântoader affinchè concedesse loro la bellezza.

Ma le maschere dei portatori d’orso come erano fatte? La più arcaica forma di rappresentazione dell’orso, come maschera, era ottenuta intrecciando spighe di avena, che alla fine della funzione rituale veniva data alle fiamme a simboleggiare la morte/rinascita della vegetazione. Viene visto così, come spirito vegetale sacrificato per assicurare la rinascita della primavera.Pian piano, sempre di più nel tempo, la maschera dell’orso è stata realizzata con vera pelliccia di orso, sempre più addobbata da nastri, nastrini, cordoncini colorati e specchietti.


Anche in Grecia, il 2 febbraio viene festeggiato l’orso, come femmina. Nella grotta di Acrotiri, vicino all’antica Kydonia, nella Creta occidentale, viene festeggiata Maria Vergine dell’Orso, Panagia Arkoudiotissa.
Probabilmente questa festa è il lascito di una più antica festa/rituale legato alle Orsette di Brauron. Si trattava di un rituale iniziatico, un rituale di passaggio dall’età della fanciullezza a quella adulta. La fanciulla, kore/parthenos, una volta indossata la tunica color zafferano e completato il percorso di orsette, diventava donna, gyne, abbandonando così la veste color crocco e indossando una collana di fichi secchi.
“Dall’età di sette anni ero arrefora; a dieci anni, macinavo il grano per l’archegheta; poi, vestita di zafferano, fui orsa alle Brauronie; infine, diventata grande e bella ragazza, fui canefora e portai una collana di fichi secchi.” (verso 645 della Lisistrata di Aristofane)
Le Brauronie venivano celebrate ogni anno con gare atletiche, musica e recitazione, e ogni quattro anni venivano festeggiate le Grandi Brauronie. Durante questa festa, una grande processione partiva dal Tempio di Artemide Brauronia per giungere nella città di Brauron.
Ma chi erano le orsette? Nelle famiglie privilegiate le madri fin dalla nascita dedicavano la propria figlia ad Artemide, in cambio di favori. Le bambine, fin da piccoline, dai quattro ai dieci anni, venivano mandate al Tempio per servire la Dea.
Narra la leggenda che, un’orsa addomesticata sacra ad Artemide, giocando con una fanciulla l’aveva graffiata in viso. Il fratello per vendicare la sorella, ha ucciso l’orsa scatenando così l’ira della Dea. L’uccisione sacrilega dell’orsa era stata seguita da una grave pestilenza ad Atene. L’oracolo, interrogato dagli ateniesi, aveva sentenziato che le fanciulle dovessero sostituirsi all’orsa, ovvero, dovevano fare le orse. Nessuna donna poteva andare in sposa prima di aver fatto l’orsetta nel tempio di Brauron.

Ma l’orso, non si pensi sia solo prerogativa del popolo dacico, o più in generale balcanico, poiché egli è ben presente anche nella cultura giapponese, in particolar modo tra le genti Ainu, nell’isola di Hokkaido.
Il culto degli orsi presso gli Ainu “consisteva nell’allevare amorevolmente per circa due o tre anni un piccolo orso, sottratto alla madre durante una battuta di caccia. Al termine di tale periodo, il giovane orso veniva sacrificato nel corso di una festa che durava parecchi giorni. L’animale veniva in pratica considerato un “ambasciatore” degli Ainu presso i suoi antenati, gli orsi divini, con l’incarico preciso di esprimere agli dei la buona volontà degli uomini e la preghiera affinché gli orsi scendessero sempre in grande quantità sulla terra, per fornire prede abbondanti ai cacciatori.”(6)

Secondo la studiosa Luciana Percovich l’antenata del potente popolo Ainu fu conosciuta anche come Madre Orsa, grande bianca creatura che visse sulla stella luminosa che senza mai muoversi inca la via agli umani.
“Dimora celeste degli antichi Ainu, la stella polare è il luogo dove le anime dei morti ritorneranno prima di scendere un’altra volta sulla terra. Per ricordare sempre questo insegnamento, ogni anno a Iyomande i popoli che vivevano nelle grotte delle isole che fluttuano sulle acque mandavano in cielo un cucciolo di orso, come messaggero alla Madre della Stella Costante, per annunciarle che anch’essi un giorno sarebbero tornati a casa.”(7)

Immagino così, che i pochi tusu-guru (sciamani ainu) che oggi sono rimasti, in un bosco di bianche betulle, spiriti e corpi lucenti di fanciulle fatate, insegnano ai figli della Madre il dono dell’esistenza. Elevarsi in volo con grandi ali per giungere agli spiriti del Cielo, o inoltrarsi con spirito e coraggio nelle profondità virginali dei boschi per imparare dagli orsi stessi la Sacra Danza della Vita.

“Sull'origine degli Ainu non c'è una unanimità: ci sono molte teorie ognuna delle quali ha convincenti argomenti a favore. Forse quella prevalente parla di una loro provenienza, in epoca preistorica, dalla Siberia, ma il territorio d'origine, sempre secondo questa teoria, dovrebbe essere l'estremo nord europeo, luogo di origine anche di popolazioni quali gli Inuit, i Sami e gli Indiani d'America che con gli Ainu condividerebbero quindi un'origine comune.” (8)
Il rito Iyomande dicui parla Luciana Percovich era piuttosto singolare. Un piccolo orso veniva cresciuto in seno alla comunità, allevato, nutrito e allattato dalle donne, vezzeggiato e coccolato come fosse figlio, per poi essere ucciso con un complesso rituale  guerriero nel quale gli si rammentava la vita ‘umana’ e i benefici che questa vita avevano portato, gli si chiedeva scusa per l’atto d’uccisione e gli si ricordava che con l’uccisione si sarebbe ricongiunto agli Dei, agli Antenati. Per poi essere mangiato interamente, pezzo per pezzo, soprattutto quelle parti di lui che davano la forza e il coraggio, come il sangue, il fegato. Assimilando l’orso come cibo, si assimilavano così tutte le forze, le virtù e le caratteristiche dell’orso ed egli proseguiva così, in un certo senso, la vita terrena in seno alla comunità, e riviveva in ogni membro della comunità ed allo stesso tempo era il “ponte” tra umano e divino.

Secondo la studiosa Marija Gimbutas, l’orsa e la sua sacralità sono strettamente connesse con la maternità. L’orsa viene vista così come antenata, datrice di vita, esattamente come l’alce e la cerva.
“Si sa che in altra parte d’Europa la Dea Artio, la Dea Orsa, era stata venerata dai celti. La città di Berna, un centro di culto dei celti, identificò l’orsa con la Dea e la scelse come proprio simbolo. Un’antica statua in bronzo della Dea Orsa fu scoperta in questa città nel 1832. E’ mostrata seduta dinanzi a un orso.” (9)
Pare che già la cultura Vinca la donna-orsa fosse molto conosciuta e venerata. Sono state rinvenute moltissime statuette rappresentanti donne che indossano maschere a forma di orsa, oppure donne che indossano maschere di animale e un marsupio sulla schiena, tutte figure che alludono ad una sorte di Nutrice Orsa.

Ma v’è un orso, nella tradizione europea che è ben più noto: Arthu. Il mito politico/spirituale/guerriero dell’emergente Artù nasce nel Basso Medioevo. La Materia di Bretagna prende il suo avvio nello scritto di Goffredo di Monmouth Historia regum Britanniae nel 1135, per divenire poi, nel corso dei secoli, quell’insieme di leggende riguardanti i celti, la storia mitologica delle Isole Britanniche e tutto quel che concerne le storie legate a Re Artù e ai Cavalieri della Tavola Rotando.
Nella Historia Regum Britanniae, Artorius, l’uomo-orso, avrebbe ucciso 960 nemici in una sola battaglia, impresa che lascia intravedere una natura super-umana. (10)
“In gallese la parola arth significa "orso" e tra i celti continentali (anche se non in Britannia) esistevano molte divinità-orso chiamate Artos o Artio. È probabile che queste divinità siano state portate dai Celti in Britannia. Va anche notato che la parola gallese arth, quella latina arctus e quella greca arctos significano "orso". Inoltre, Artù è chiamato l'"Orso di Britannia" da alcuni scrittori. "Arktouros" ("Arcturus" per i Romani), ovvero "guardiano dell'orsa", e "Arturo" in italiano) era il nome che i Greci davano alla stella in cui era stato trasformato Arkas, o Arcade, re dell'Arcadia e figlio di Callisto, che invece era stata trasformata nella costellazione dell'Orsa Maggiore ("Arctus" per i Romani).”(11)

Per i pellerossa l’Orso (mudjekewis) presiede all’inizio dell’Autunno. Inizia il ciclo involutivo della vegetazione, il momento del ritiro per il giusto e meritato riposo. Da sempre è stato il momento in cui si abbandonano le azioni terrene e si volge verso il spirituale, valutando il proprio operato. E’ il periodo che più di tutti simboleggia il distacco dal materiale, il periodo che più di tutti ci permette di vivere secondo la nostra vera natura, lontani dai preconcetti. Così, in un certo senso, l’orso rappresenta la Gestazione, l’introspezione, il risveglio delle energie individuali.

Il Re Sacro, il Potere Divino manifesto nella forma terrena dell’orso come animale, la Gestazione e la Creazione, il Tramite tra umano e divino, colui che attinge alla Fonte d’Oro degli Dei (il miele) per acquisir virtù e forza. Egli è presente in più leggende e miti di quanti se ne potrebbero mai elencare, è alla radice dell’umanità e noi ne siamo i discendenti. Il silente Spirito dei Boschi, mansueto e feroce, dolce e selvaggio, attraversa la cattedrale silvestre, volge gli occhi verso l’infinito, oltre le volte degli alberi, passo dopo passo lascia la sua impronta divina tra gli umani. Con il suo manto scuro e lucente, l'andatura lenta, osservando la Signora d'Argento, lascia il mondo alle sue spalle e si ritira nelle profondità della Caverna Primordiale e ritorna così all'Origine.



Note:

¹ abito di pelle indossato dai sacerdoti durante le cerimonie dionisiache
(1)Marcel Lapteş. „Timpul şi sărbătorile ţăranului român”, Ed. Corvin 2009
(2)dall’articolo febbraio: feste di luce
(3) Antoaneta Olteanu – “Calendarele poporului român”, Ed. Paidea, 2009
(4) liberamente tradotto da http://www.jurnalul.ro/calendar/sambata-ursului-574607.htm
(5) Elena Niculiţă-Voronca „Datinile şi credinţele poporului român adunate şi aşezate în ordine mitologică”, Ed. Polirom, 1998
(6) http://lalanternadeisogni.blogspot.com/2010/07/gli-ainu-e-il-culto-dellorso.html
(7) Colei che dà la vita. Colei che dà la forma di Luciana Percovich, Ed. Venexia, pag.31
(8) http://www.tuttogiappone.net/societa/Ainu.php
(9) Il linguaggio della Dea di Marija Gimbutas, ed. Venexia
(10) Cacciare l’orso nelle foreste medievali (ovvero, degli incerti confini tra umano e non umano) Paolo Galloni
(11 ) http://it.wikipedia.org/wiki/Re_Art%C3%B9

Fonti:
http://www.jurnalul.ro/calendar/sambata-ursului-574607.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Iyomante
http://www.sciamanesimo.com/animali/orso.html
http://www.gazetadeagricultura.info/obiceiuri-si-traditii/1192-Calendarul%20sarbatorilor%20romanesti%20%28Faurar%29.html
http://www.antenasatelor.ro/traditii/2531-calendarul-traditiilor-populare-20-februarie.html
http://www.continuitas.org/texts/galloni_cacciaorso.pdf
http://talent.paperblog.fr/2870634/scenariul-ritualic-la-inceput-de-primavara/
Elena Niculiţă-Voronca „Datinile şi credinţele poporului român adunate şi aşezate în ordine mitologică”, Ed. Polirom, 1998
Colei che dà la vita. Colei che dà la forma di Luciana Percovich, Ed. Venexia
Il linguaggio della Dea di Marija Gimbutas, ed. Venexia
Marcel Lapteş. „Timpul şi sărbătorile ţăranului român”, Ed. Corvin 2009
La via sciamanica e le ruote di medicina di Francesca Drago, ed.Xenia

Articolo scritto da Rebecka. Severamente vietata la riproduzione dell'articolo anche parziale, senza il permesso scritto dell'autrice e senza citarne le fonti.

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