lunedì 9 marzo 2020

Odisseo: il Viaggio del Re Divino

Odysseus - Alan Lee
Ulisse il Cretese, Ulisse, il principe di Creta. Tutte menzogne! Chi non sa che Ulisse fu re di Itaca, una piccola Isola del mare Ionio, distante da Creta parecchi giorni di navigazione verso nord?
Sì, Ulisse forse. Ma quando l’autore dell’Odissea lo chiama costantemente Odisseo, nome tipicamente cretese, quando lo fa mentire, giocare d’astuzia e travestire da un punto all’altro dei suoi racconti, quando l’eroe sempre menzognero dice lui stesso, senza sorridere, per tre o quattro volte: «Lo sapete bene: sono Cretese», cosa bisogna credere?
Basta dire che Odisseo, come Epimenide, era realmente cretese, l’unica verità che si libera, nuda e cruda, dall’abisso di tenebre in cui i ragionatori avevano preteso di farla scomparire.
« Narrami, o Musa, di quell'uomo versatile che molto tempo vagò dopo che ebbe gettato a terra le sacre torri di Troia »
(incipit)

Nasce nella storia del mito un Re, un iniziato ed un iniziatore, un geniale creatore oppure l’archetipo del suo tempo: quello del grande viaggiatore, che fa del pontos (mare) un ponte verso i mondi sconosciuti.
Lui, l’iniziato delle molte Dee che lo portano man mano, attraverso le avventure che affronta, ad essere il Divino/Uomo che da buon iniziato che ha superato la prova della mortalità/immortalità, può ora essere iniziatore di altri giovani che intraprendono il viaggio medesimo, la Cerca profonda, il riconoscersi all’interno di sé, morendo per rinascere ed esser riconoscibili nel mondo. Lui, che Omero definisce il Piccolo, il Costante (polytlas), l’Ingegnoso (polymetis), l’Astuto (polymekhanos), il signore dalle mille vie (polytropos), l’Illustre (polyainos), lui, il Divino (theios) Odisseo.
«Nessun’altra successione o progressione se non quella cronologica. Ma un centro, un cuore, un’anima: Creta, la sua patria.» (1)

«esisteva a Creta, in epoca assai remota, molto anteriore a quella di Omero, una leggenda che presentava Ulisse come il discendente o il lattante delle orse sacre [...]»
Lui, protetto dalla benevolenza degli dei, ma soprattutto delle dee, donne immortali capaci di donarsi quale immagine mortale ad un viaggiatore che ha perso la via di ritorno in patria, di un viaggiatore che ha intrapreso la Cerca di sé, e nel ritrovarsi non è più capace di riconoscersi in quelle mille sfaccettature se non con l’aiuto delle donne immortali che incontra.
Esse si mostrano nella loro magnificenza, nel loro Splendore, creatrici stesse delle peripezie di Odisseo. Sono loro a tessere le trame avventurose di questo Re, sono loro le Iniziatrici del mortale Odisseo.
Ad ogni crocicchio, ad ogni Stazione del picaresco viaggio Esse sono presenti nella loro infinita Bellezza: audaci, sparviere, incantatrici, tanto oscure quanto splendenti, divine e semi-divine.
Esse sono la Porta verso l’Altro, sono la Prova che il guerriero, l’uomo dei mari deve affrontare e superare per giungere nella Bellezza, nell’immortalità, innanzi a quelle schiere di eroi che la storia del tempo e del mito ci restituiscono, sono le Prove di chi ha intrapreso La Cerca, così sacra e vitale a tutti gli umani di ogni tempo, ‘utile’ per potersi riappropriare di quella nascosta scintilla divina che profondamente celiamo in noi.
Molte sono le vie mortali ed immortali che Odisseo attraversa, molti i pericoli, molte le tentazioni alle quali sfuggire per salvarsi, o alle quali cedere con integrità morendo in modo simbolico, solo per rinascere nella consapevolezza di una nuova piccola conquista.


Le Signore del Re Viaggiatore.
Delle Dee-Uccello e della Tessitura

Odisseo, negli studi meravigliosi di Paul Faure sarebbe cretese per molti motivi che qui non elencherò tutti per non discostarmi troppo da questa via che ho intrapreso, sebbene a me piacciano molto i sentieri.
I parenti, i compagni, perfino i suoi nemici lasciano pensare che egli sia cretese. In quanto nipote di Arkeisios (Arcesio), ‘quello dell’orso’, è tenuto come tutti i figli primogeniti a riproporre le qualità del nonno paterno e gioirne dei successi.
Ma Arkeision era anche il particolare nome con il quale si conosceva la grotta dove nacque Zeus, sul monte Ida. Il suo culto ci è noto fin dal sedicesimo secolo avanti cristo e di quello che ci è giunto sappiamo che era servito da tre ordini femminili mascherati, le Orse, le Api e le Capre e da tre ordini maschili, i Ciclopi, i Dattili e i Cureti, ordini che trovavano origine nel mito.
«Affermo solo che gli si dava origine – culla della sua stirpe o prova iniziatica della sua infanzia – la più illustre delle caverne cretesi.» (2)

Tre donne, tre spose, tre Dee-uccello in grado di essere compagne, vie di passaggio, sacri grembi nei quali morire e rinascere, acque cosmiche in cui galleggiare e purificarsi, fluidi primordiali datori di vita e di morte. Dee quali simboli di Morte e di Rigenerazione; Athena e Calypso quali Dea Civetta, Penelope Dea Anatra e Kirke Dea Falco.

Penelope, l’Alzavola (anatra selvatica) che nidifica con amore, costante nell’affiancare lo sposo scelto, il solido scoglio sul quale si frantumano le incertezze e le certezze, considerata da taluni anche madre di Pan, principale divinità dei pastori di Creta.

Kirke, la Sparviera (femmina di sparviero, specie di falco) colei che con la forza del falco riesce ad accerchiare la preda, oppure, servendosi della grazia del suo volo riesce ad accompagnare Odisseo verso un’altra Stazione, non prima d’aver mostrato a quest’ultimo la bellezza immortale.

E come dimenticare Calypso, la Nascosta, la Radiosa, la cui dimora è circondata da barbagianni (skopes), da falchi (irekes) e da cornacchie marine (koronai einaliai), colei alla quale il dio Ermes si presentava sotto le sembianze di un gabbiano (laros).
«La Dea Uccello era Fonte e Dispensatrice dell’umidità che dà la vita, un’antica e durevole preoccupazione umana.» (3)
Calypso, così nascosta nella sua spelonca umida e Kirke, così irraggiungibile nel suo palazzo segreto (che solo la Luce di Helios sfiora) sono in fondo, in quanto Dee Uccello, come le Sirene che Odisseo incontra: accompagnatrici nel mondo Infero.

«Sappiamo dal mito greco che Athena inventò l’artigianato in terracotta, la filatura e la tessitura, il flauto, la tromba, l’aratro, la briglia da cavallo, il carro e perfino l’imbarcazione. In altre parole era l’inventrice non soltanto delle attività femminili ma di tutte le attività. Anche Colei che la precedette – la preistorica Dea Uccello, l’Elargitrice di Tutto- fu Elargitrice delle Arti?» (4) Egli, deve la sua astuzia in ogni momento del suo viaggio, alla Signora che Elargisce i molti doni: Athena, poiché Ella era anche Dea della Saggezza e della Sapienza.

«E si fa largo ed ordine, nel primordiale caos della Divina Madre, il volto sorridente di Athena, colei che a tutte le donne ha lasciato la sapienza della cura dell’oikos e l’arte magica della tessitura.
Lei che veste i panni della saggezza e della sapienza delle arti femminili, porta in sé anche gli aspetti nobili della guerra.
Sono nello spirito un poco Athena tutte le donne/dee dell’Odissea. Tutte sorprese da Omero nell’atto della tessitura, questa magica arte dell’ascolto del silenzio, del mondo interiore, questa arte della riflessione. Ciò che è fuori si riflette nella trama della tela e ciò che è dentro ed interiore è l’ordito che si espone e si lascia avvincere dai fili.» (5)
Anche di Athena, simboli importanti sono l’uccello ed il serpente, e per tale ragione il legame con le altre dee quali Penelope, Calypso e Kirke muta in un tessuto muliebre che rappresenta nella sua unicità, nel suo essere multiforme, quanto v’è di più sacro nella Bellezza Femminile.
Athena ha elargito il dono della Tessitura e della tessitura grande Regina è Penelope.
Ella, Regina senza re, donna Sospesa nell’attesa, Dea Uccello, un volto antico di Dea del focolare, di Anatra Regina che protegge il suo nido con la forza dell’attesa tattica, del pensiero e della meditazione che il tessere comporta.

«La tessitura non era solo un impegno domestico della donna, atto a creare tessuti per il vestiario. La tessitura era un collegamento sacro tra le mani creatrici e l’oggetto creato, tra le forze universali manifeste e la sua interiorità. [...]

Colei che fila è padrona dei movimenti circolari e dei ritmi. La filatrice e la tessitrice sono creature incantate e misteriose. Non lasciano trapelare nulla della loro natura profonda, femmina. Con la testa china, lo sguardo perso in mondi lontani e unici, le mani operose, filano i fili della vita, intrecciano le misteriose Vie.

La spola d’oro di Calypso, il tessuto lucido, quasi metallico di Kirke, hanno un elemento di richiamo al Mondo Altro.
La connessione della filatrice o della tessitrice con il Mondo Altro è un legame impenetrabile al quale l’uomo si deve abbandonare seguendo la lana del filato.» (6)
In questo modo, il legame tra il tessere di Penelope e quello del tessere delle due Dee-Uccello messaggere dell’Aldilà, diventa un sottile gioco delle stessa Penelope, sostituendosi in un certo senso alle tre potenze creatrici: le Moire.
Nel suo fare e disfare v’è il senso del divenire, del compiersi del viaggio. Nel tessere crea sempre più la strada del ritorno di Odisseo, nel disfare il creato v’è molto di più il rilascio lento ed inesorabile del marito verso quei luoghi nascosti e umidi, segreti e misteriosi, necessari alla sua ‘formazione’.

La ‘Creazione’ di un Re, divenirlo, non è cosa facile. Per poter essere degno di affiancare una Dea, bisogna esser capaci di molte imprese, ma soprattutto è necessaria devozione incondizionata ad Essa e alla Terra, due Spose fatta Una, è necessaria umiltà nell’abbandonare la propria mortalità per servire la Sposa e naturalezza nel rivestire il ruolo del Divino Sposo.
Non è sopravvivere alle tempeste in mare la reale impresa, è ammettere quella che è la dimensione umana, fragile, di fronte ad una delle più importanti Forze Creatrici, l’acqua.
Non soccombere alla Forza Primordiale delle Dee, né voler prevaricare con forza, ma essere umilmente degni dei Segreti che Esse si apprestano a far intravedere e forse sfiorare.
Odisseo non tornerà in patria fin tanto che non sarà meritevole di farlo, fin tanto che le Forze Creatrici non riterranno compiuta la sua metamorfosi interiore.
Quando avrà appreso il vero significato del Viaggio, che porta alla Metamorfosi, alla Trasformazione, sarà pronto al rientro.

Questo uomo, simbolo di una continua tensione creatrice, nel suo viaggio che è un continuo rito di trasformazione e rinnovamento, fin dal principio ha accanto a sé un’altra importante Signora: «Ino dalle sottili caviglie».

«La bella il vide dal tallon di perla
Figlia di Cadmo, Ino chiamata, al tempo
Che vivea tra i mortali: or nel mar gode
Divini onori, e Leucotèa si noma.»
 (7)

Questa Dama Bianca, Leucotea, nipote di Europa che per prima giunse a Creta a cavallo del bianco toro, che altri non era che Zeus trasformato, veniva venerata in almeno tre luoghi di Creta: Itanos, Minoa con le sue ‘bianche isole’ e nella Valle rigogliosa dell’Inaco.

«Lo vide la figlia di Cadmo, Ino bella caviglia,
la Dea Bianca, mortale un tempo dalla parola
umana; poi nella distesa del mare ebbe in
sorte l’onore dei numi. Ella ebbe pietà d’Odisseo,
ch’errava in preda all’angoscia, e come una
folaga alata venne fuori dall’acque, sedette
sopra la zattera e gli parlava parola:
- “Infelice, perché Poseidone Enosìctono t’odia
paurosamente, e tanti mali ti semina? ma non
potrà distruggerti, per quanto lo brami. Fa’
dunque a mio modo, ché non mi sembri uno
sciocco: togliti queste vesti, in preda ai venti la
zattera lascia, e a forza di braccia, nuotando,
avvicinati alla terra Feacia, dove è fato per te di
salvarti. E tieni questo velo, sotto il petto distendi,
immortale: non avrai più timore di soffrire o morire. »
 (8)

Ella appare ad Odisseo come folaga o come gabbiano affidando ad Odisseo il suo velo, quale salvagente, quale indumento che delimiti i confini tra il mondo visibile e quello invisibile.
«Il velo, o qualcosa che stringe, avvolge, cinge, un nastro, una fascia, una benda, è l’oggetto ultimo che incontriamo in Grecia. Di là dal velo non c’è altro. Il velo è l’altro. È l’annuncio che l’esistente, da solo, non regge, che richiede almeno, perennemente, di essere coperto e scoperto, apparire e sparire. Ciò che si compie, l’iniziazione o le nozze o il sacrificio, esige un velo, appunto perché a compiersi è il perfetto, che sta per il tutto, e il tutto include il velo, quel sovrappiù che è la fragranza della cosa.» (9)

Questa magnifica spiegazione di Calasso esprime con chiarezza il misterioso significato del Velo, indumento che indossano anche le Dee-Uccello, di Penelope o di Calypso parlando. Veli metafisici, geografici date le lontananze delle varie isole che man mano il Re in viaggio incontra, veli spirituali che calano come sipari sull’attitudine di Odisseo, lui che interroga e consulta le anime dei morti.


L’Iniziazione del Re
Guidato di volta in volta dalla Dea Civetta, «Reggitrice di Morte», da prima sulla sua nave, quale mezzo di Transizione e Rinnovamento, come simbolo della culla nelle acque primordiali o feretro nel Regno dei Morti e poi ‘sacrificato’ alla forza genitrice delle acque, in balia delle onde, cullato dai flutti generosi fino ad approdare sulla terra ferma Grembo che lo vedrà protagonista di alcuni dei più bei passaggi iniziatici che si conoscono.

Sono dodici le sue Fatiche, dodici le Stazioni Iniziatiche che Odisseo deve cercare di passare acquisendo la saggezza e la necessaria forza per divenir Re Sacro nella sua patria, riconosciuto dalla Dea Suprema, Colei che mille volti assume durante il viaggio di Odisseo per condurlo alle Prove, alle Tentazioni, alla Morte, alla Rinascita, al Divenire e al Compiersi.

Nella prima Stazione, quella della Tentazione, i marinai di Odisseo si lasciano ingolosire dai frutti proibiti della terra dei Lotofagi, il paese dell’oblio. «Il loto, un frutto senza nocciolo,color zafferano e grande press’a poco come una fava, che cresce in grappoli assai belli a vedersi: ma chi ne assaggia perde il ricordo della terra natale.» (10) I frutti magici della tentazione, ma anche della trasformazione, della metamorfosi da uno stato ad un altro. Questo è anche il primo dei divieti, pena, non dovessero resistere, non ritrovare più la strada del ritorno.

Nella seconda Stazione, quella dell’Inganno, Odisseo insieme ai marinai giungono nel paese dei Ciclopi, antropofagi e rudi pastori che altro non vogliono che difendere il loro gregge e gli eccellenti formaggi che riescono a ricavare dal latte delle pecore. E’ un’isola fertile, verdeggiante e boscosa che a loro pare inizialmente abitata solo da capre. Qui Odisseo si lascia identificare dal Ciclope Polifemo come Nessuno e ubriacandolo sfugge alla morte attaccato al ventre di un ariete. Per ricollegarsi al significato che l’Iniziazione ha nell’Odissea, penso al nostro Re viaggiatore nascosto nella pelle dell’ariete. In fuga dalla grotta del Ciclope non attaccato al ventre dell’ariete, ma rivestito dalla pelle dell’ariete, come accadeva nei riti iniziatici greci, quando gli inizianti si facevano cucire in pelli d’animale per poter entrare in contatto con il Mondo Infero, o per poterne sfuggire, come nel nostro caso, rinnovati, trasformati.

Nella terza Stazione, quella della Disubbidienza, giunti nella Casa del Vento, presso Eolo che viveva con la moglie ed i dodici figli, sei fanciulli e sei fanciulle, viene fatto loro un dono. L’Otre della Salvezza, che avrebbe dato ai marinai e al Re la possibilità di fare rientro in patria, l’otre che conteneva tutti i venti, chiusa da un filo d’argento. Era fatto divieto aprire l’otre, poiché l’apertura avrebbe scatenato tempeste interminabili. Ma innata è la curiosità dell’uomo e questi violarono l’unico divieto che Eolo aveva posto e così nuovamente persero la via del ritorno.

Nella quarta Stazione, quella della Violazione, il viaggiatore giunge nella terra dei Giganti Lestrigoni dopo aver perso la sua flotta nella rada di Lamo. I Giganti sono pastori e boscaioli e si nutrono di carne umana. Qui vengono commessi due errori: quello di interrogare la figlia del Re Lestrigono Antifate (che altri ritengono sia solo un capitano e mentre il re è Lamo) alla Fontana dell’Orso (Artacia), dove Ella s’era recata a prender l’acqua fresca e quello di entrare nella sua colossale dimora. Qui vennero assaliti da un’orda di selvaggi che altro non volevano che ucciderli e mangiarli. Odisseo una sola nave tra le dodici riesce a far scampare al pericolo.
Da notarsi che l’etimologia di Antifate. Il suo nome significa ‘profeta’, ‘colui che parla per bocca del dio’.

Nella quinta Stazione, quella della Metamorfosi, con l’unica nave rimasta il Re giunge all’isola pianeggiante di Eea, l’Isola dell’Alba, dove regnava la Signora delle pozioni e delle misture, Kirke, figlia del Sole. L’isola d’altro non poteva esser ricca che di querce, alberi solari, gli alberi della sovranità terrestre e celeste, porte misteriose per l’Altrove, ed infatti boschi immensi di quercia custodivano la radura nella quale sorgeva il luminoso palazzo di Kirke. Se si chiudono gli occhi, si possono vedere ancora le leggiadre fanciulle, compagne di Kirke, danzare nei boschi scalze e con i capelli sciolti, per pregar il Dio Quercia che è anche dio dei tuoni, Zeus potente, affinché scenda la pioggia.
Attorno al suo palazzo lupi, leoni e maiali siedono accanto alla Dea che quasi tutti i marinai ha trasformato meno che uno. Odisseo, che il Dio dei Confini e dei Viaggiatori, il polutropos (dalle molte risorse), Hermes l’astuto, ha aiutato mostrando il miracolo del bianco fiore dalla nera radice che molti conoscono come erba moli.
Grazie alla magia dell’erba egli non subì la metamorfosi come gli altri compagni e godette delle amorose braccia di Kirke, per lunghe notti nel letto dalle coltri purpuree. Subisce la trasformazione e la Metamorfosi nell’amore della Dea.

Nella sesta Stazione, quella della Discesa, egli affronterà le verità di Tiresia il veggente. «Lascia che il Vento del Nord gonfi le tue vele finchè giungerai al fiume Oceano e al sacro bosco di Persefone, denso di bianchi pioppi e di antichi salici. Là dove il Flegetonte e il Cocito confluiscono nell’Acheronte, scava una fossa e sacrifica un giovane ariete e una pecora nera a Ade e a Persefone. Lascia che il sangue scorra nella fossa e mentre attendi l’arrivo di Tiresia tieni lontane con la tua spada tutte le altre ombre. Al solo Tiresia permetterai di bere quanto voglia e ascolterai con attenzione i suoi consigli.» (11) E dei consigli che Kirke al Re aveva dato, tutto seguì per filo e per segno avendo così in punta di labbra da Tiresia il Veggente tutti i segreti di vita e di morte che era andato a cercare.

Nella settima Stazione, quella della Resistenza, nel flutti leggeri del mare, sotto il cuocente sole di mezzogiorno che porta incubi infernali, i marinai con le orecchie di cera tappate hanno legato all’albero maestro il Re, affinchè potesse ascoltare il suadente canto delle Sirene, metà donne e metà uccelli. Il canto della promessa del dono della Preveggenza, un canto che scivolò lungo il corpo di Odisseo come le onde del mare scivolano sui fianchi dell’imbarcazione. Semi dee con aspetto di rapaci, che portano in sé il dono della Morte e della Rigenerazione, semi divinità dall’aspetto notturno, rapitrici d’anime. Odisseo riesce a sfuggir loro, ed il mito racconta che per rabbia esse si tolsero la vita.

Nell’ottava Stazione, quella dell’Ostacolo, il Re deve passare attraverso due rocce abitate da due mostri: Scilla e Cariddi. Quelle rocce sono l’Ostacolo ma altresì la Soglia verso un altro mondo infero, quello abitato dai due mostri. Non sfugge senza perdite a quest’impresa.

Nella nona Stazione, quella del Furto, giungono sull’Isola di Iperione dove i compagni di Odisseo affamati e dimentichi del giuramento fatto, ossia che non avrebbero toccato il sacro bestiame, pasteggiano mentre il Re cretese è nel Mondo Altro. Grazie al fatto che Odisseo dorme, ed è quindi in quella dimensione parallela alla Vita, in quella non vita e non morte, si salva alla furia di Iperione che rivendica presso Zeus le sue perdite. Così nel naufragio nel quale perdono vita tutti i compagni di Odisseo, lui si salva.

Nella decima Stazione, quella della Reclusione, il Re approda sull’Isola della Nascosta, la bella Calypso, colei che vive in mezzo ad uccelli profetici quali barbagianni, falchi e cornacchie marine, «affaccendandosi sulle onde», tessendo e cantando. Quattro fresche sorgenti scorrono all’entrata della grotta, quasi a chiuderla in senso di protezione, ed una vite s’attorciglia sulle rocce dell’ingresso. Boschi d’ontani, di pioppi bianchi e cipressi ombreggiavano la grotta della Reclusione del Re. Una prigionia iniziatica, in una grotta/ventre che si chiude umida attorno a lui. Le grotte, confini e passaggi verso il Mondo Infero, dove tutto rimane sospeso in una dimensione a sé, dove nulla è ancora passato e nulla è ancora accaduto.

Nell’undicesima Stazione, quella dell’Abbandono, il nostro viaggiatore giunge sull’isola di Scheria, abitata dai Feaci, dove si abbandona ad un sonno profondo dal quale solo la bella e fresca come sorgente Nausicaa riesce a destarlo. Provato dalle fatiche dell’ultima tempesta, racconto a Re Alcinoo le sue avventure. Quale re che rispetta ed onora i suoi ospiti, Alcinoo diede una barca con marinai, che caricò di doni e lascio libero di andare verso la sua patria lo stanco Odisseo.

Nella dodicesima Stazione, quella della Rivelazione, il Re si risveglia sulla sua isola che egli stesso stenta a riconoscere. La gentile Athena ha avvolto di leggere nebbie l’isola di Odisseo ed Ella stessa appare in vesti diverse al stanco Odisseo. Solo dopo aver ascoltato le bugie di Odisseo circa la sua identità, Ella si rivela per quella che è. Trasforma il Re Odisseo in modo che nessuno possa riconoscerlo e lascia che vada a rivendicare la sua terra ed il suo regno. Per provare a Penelope d’esser il suo sposo, l’eroe deve vincere i pretendenti nella gara dell’arco. «Il sovrano è il perno su cui poggia la bilancia del mondo, e la minima irregolarità da parte sua può sconvolgere quel delicatissimo equilibrio.» (12) Così Odisseo, calcola ogni piccolo gesto ed ogni piccola mossa all’interno dell’isola per poter rientrare nuovamente in possesso del suo Regno. Antinoo, il più fiero e insolente, il contraddittore, è il primo ad essere ucciso dopo la sconfitta al tiro con l’arco. La strage frattanto continuava ed Athena in veste di rondine volava nella sala del massacro.
Nella simbologia ma anche nella realtà, la rondine annuncia il ritorno della Primavera e questo apparire ciclico collega anche la rondine alla Dea, Colei che sovraintende ai cicli di tempo, di vita e di morte, di inverno e di primavera, di infelicità e di felicità.
Così ha fine il periodo in cui il regno è sospeso in attesa del Re Legittimo, ha fine il periodo del ‘sonno’, dell’inverno spirituale, di infelicità, ha fine il periodo della ‘mascherazione’ ed infine il Re può essere Rivelato e Rivelarsi al Regno, rendersi riconoscibile alla Dea Suprema Sposa e riconoscere sé stesso all’interno del nuovo universo.

Odisseo, nell'attraversare il Tempo della Iniziazione, si distingue per una particolarità non indifferente per quel tempo ed epoca: non si rende schiavo di nessuna divinità. Egli lascia la sua terra quale 'fanciullo' libero, se vogliamo anche innocente e pur incontrando numerose difficoltà, non si arrende mai alla schiavitù del Dio dei Mari. Egli vaga sperduto affrontando il suo destino, conscio a volte che è il Viaggio stesso a tenerlo in vita e più del Viaggio, il desiderio di tornare al Mondo da lui conosciuto, il Suo Mondo: Itaca. L'unica ragione del ritorno è la Sposa diletta, Colei alla quale rimanere eternamente fedele: Itaca. Penelope stessa è la Terra, il Reame perfetto, la Corona e lo Scetro, Penelope è la Sposa, Penelope è Itaca.
Lui esiste per garantire Forza al Regno, per garantire i generosi frutti alla feconda Terra: Penelope. Esiste in funzione di Colei che sola può decidere chi è meritevole di essere Re, il legittimo.


Simbologia del ricorrente numero 12

C’è un numero che spesso ricorre nelle avventure di Odisseo, ed è il numero dodici. Dodici sono le navi della sua flotta in partenza dal regno, dodici sono le fatiche che deve affrontare, dodici sono le asce bipenne il cui foro la freccia deve oltrepassare, dodici sono le ancelle che non sono rimaste fedeli alla causa di Odisseo finendo impiccate dallo stesso.
Se moltiplichiamo i 4 punti cardinali per i 3 livelli dell’esistenza o piani del mondo otteniamo il numero 12.

Dodici le costellazioni come segni zodiacali, dodici i mesi dell'anno.
« Dodici i giorni e dodici le notti (giorni Epagomeni) aggiunte alla fine di ogni anno per eguagliare l'anno solare.

Il numero dodici è il più frequente sui petroglifi, in relazione alla religione di Crom in Amazzonia. Dodici gli Apostoli di Gesù, dodici gli Uomini inviati a Canaan, dodici le pietre del pettorale del Papa, dodici gli Adityas dei Brahamani in relazione con i dodici mesi dell'anno.
Anche nel Rig Veda è frequente il numero dodici.

Dodici lettere formano il nome di Dio seguendo le dodici mutazioni del Tetragramma ebraico.
Dodici titani in Grecia, dodici cavalieri della Tavola Rotonda, dodici erano i sacerdoti (díar o drótnar) che presiedevano il centro di culto di Asgard.
La corona con le dodici piume d'aquila posta dai Pawnees sulla testa della giovane sacrificata al sole o a Venere.

Dodici le vie del mare aperte da Dio secondo le storie Quichè.
Dodici le trecce che cadono dal turbante delle statue di Tiahuanaco, rappresentanti le dodici divisioni sacre (tribù) del dio del sole.
Dodici le tribù di Israele, dove mille anni prima di Cristo si portava il turbante. In questa terra si sognava di un padre di tutte le cose che si chiamava Mot e veniva rappresentatodall'uovo cosmico (Brahama). Quel Mot nemico di Baal-Adad.

E a Tiahuanaco migliaia di anni prima, esisteva un "padre di tutte le cose" rappresentato dall'uovo cosmico, di nome Mut (Mout). Intorno al Dio dalle quattro dita, raffigurato sulla porte del sole a Tiahuanaco, considerato il signore del tuono e del fulmine, adorato anche in Amazzonia, vi sono: Lliphi-Lliphi esperto in razzi e esplosivi; Chijchi guardiano delle munizioni; Akarapi padrone del freddo, Ritti dea delle nevi; Nina guardiana del sacro fuoco del fulmine, Pinchinquilla dio dei Vulcani, Waira dio degli Uragani; Yallpa Karkati lo spirito dei terremoti e Keko dio dei campi. Con Pacha Mama, la Dea Madre, fanno dodici divinità.» (13)
Credo che si potrebbe andare avanti ad oltranza con la magia di questo numero, ma posso fermarmi qui.

Dodici è il numero Tre in una ottava maggiore ed indica un gran livello di Comprensione e Saggezza, quella che il Re Rivelato ha raggiunto dopo le sue dodici fatiche. La maggior parte della sua esperienza deriva dall'esperienza di vita, che permette ad un senso di calma di prevalere anche nelle situazioni più turbolente.
Il dodici era considerato il numero antico del Completamento come segnale della fine della fanciullezza ed ingresso nella vita adulta, quindi numero dell’Iniziazione.

(1) citazione da Ulisse il Cretese
(2) citazione da Ulisse il Cretese
(3) citazione da Il linguaggio della Dea
(4) citazione da Il linguaggio della Dea
(5) citazione da L'anatra Regina. Di Penelope e di altre donne
(6) citazione da L'anatra regina. Di Penelope e di altre donne
(7) citazione da Odissea
(8) citazione da Odissea
(9) citazione da Le nozze di Cadmo e Armonia
(10) citazione da I miti Greci
(11) citazione da I miti Greci
(12) citazione da Il ramo d'oro
(13) citato interamente dal sito http://www.edicolaweb.net/edic0666.html

Bibliografia
Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso
L'Anatra Regina. Di Penelope e di altre donne di Rebeca Sendroiu ed. Rupe Mutevole
Il Linguaggio della Dea di Marija Gimbutas ed. Venexia
Ulisse il Cretese di Paul Faure ed. Salerno Editrice
Il ramo d'oro di Sir James Frazer ed. I Mammut
I miti greci di Robert Graves ed. Longanesi
http://www.edicolaweb.net/edic0666.html
http://it.wikisource.org/wiki/Odissea/Libro_V
http://www.iconos.it/index.php?id=1425

Articolo scritto da Rebecka. Severamente vietata la riproduzione senza il consenso dell'autrice e senza averne citato il nome e la fonte.

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