venerdì 13 marzo 2020

Il Re Sacro: le Cerimonie dell'Orso

Susan Seddon - Dancing Bear
E’ il signore incontrastato della foresta. Egli è maestoso, imponente, egli rappresenta la forza incontrastata che fa da perno tra la natura e l’uomo. Le sue dimensioni e la sua andatura lenta lo fanno sembrare incapace di azioni improvvise, ma egli è imprevedibile. Egli è forza e coraggio e la sua caverna, dove dimora e si ritira in letargo, è il ritorno nel ventre di Madre Terra.

L’orso e i suoi poteri sono antichi quanto lo è la sua venuta al mondo e le tradizioni che ne derivano sono tutte antiche quanto lo è l’umanità e il sciamanesimo. Si ritiene che la culla dello sciamanesimo sia da sempre la Siberia. E’ qui che questa ‘religione’ animista ha preso forma, si è sviluppata ed è da qui che si è irradiata nel mondo (Asia, Europa, Nord America).
La parola sciamanesimo, deriverebbe da sama:n parola con la quale il popolo Evenki (tungusi) indica colui che possiede poteri di incantazione. La parole dovrebbe significare frenesia, parossismo.
Lo sciamanesimo ha radici antichissime, lo testimoniano diversi graffiti rupestri del territorio scandinavo e siberiano. Per le società animiste, lo sciamanesimo era, ed è tutt’oggi, l’espressione di un modo di vivere la natura, di sentirla quale legame tra il destino degli umani e le forze ultraterrene. Non vi erano leggi, né templi, perché il Tempio più grande era Madre Terra. Ogni luogo era sacro perciò destinato ad essere tempio di preghiera e di riti. Il sapere degli antenati fluiva attraverso la natura, per discendere nei nuovi sciamani, ed il sapere atavico era multiforme. La medicina e la magia naturale erano così fortemente e indistricabilmente intrecciate da essere un tutt’uno. Lo sciamano era medico, cacciatore e mago. Nello sciamanesimo le malattie erano solo percorsi esistenziali che l’anima umana intraprendeva nella grande foresta. Più le malattie erano gravi, più l’anima umana si era addentrata nella grande foresta smarrendo il sentiero, ed è in quelle occasioni che entrava in scena lo sciamano che diventava cacciatore e guida dell’anima smarrita.

lunedì 9 marzo 2020

Odisseo: il Viaggio del Re Divino

Odysseus - Alan Lee
Ulisse il Cretese, Ulisse, il principe di Creta. Tutte menzogne! Chi non sa che Ulisse fu re di Itaca, una piccola Isola del mare Ionio, distante da Creta parecchi giorni di navigazione verso nord?
Sì, Ulisse forse. Ma quando l’autore dell’Odissea lo chiama costantemente Odisseo, nome tipicamente cretese, quando lo fa mentire, giocare d’astuzia e travestire da un punto all’altro dei suoi racconti, quando l’eroe sempre menzognero dice lui stesso, senza sorridere, per tre o quattro volte: «Lo sapete bene: sono Cretese», cosa bisogna credere?
Basta dire che Odisseo, come Epimenide, era realmente cretese, l’unica verità che si libera, nuda e cruda, dall’abisso di tenebre in cui i ragionatori avevano preteso di farla scomparire.
« Narrami, o Musa, di quell'uomo versatile che molto tempo vagò dopo che ebbe gettato a terra le sacre torri di Troia »
(incipit)

Nasce nella storia del mito un Re, un iniziato ed un iniziatore, un geniale creatore oppure l’archetipo del suo tempo: quello del grande viaggiatore, che fa del pontos (mare) un ponte verso i mondi sconosciuti.
Lui, l’iniziato delle molte Dee che lo portano man mano, attraverso le avventure che affronta, ad essere il Divino/Uomo che da buon iniziato che ha superato la prova della mortalità/immortalità, può ora essere iniziatore di altri giovani che intraprendono il viaggio medesimo, la Cerca profonda, il riconoscersi all’interno di sé, morendo per rinascere ed esser riconoscibili nel mondo. Lui, che Omero definisce il Piccolo, il Costante (polytlas), l’Ingegnoso (polymetis), l’Astuto (polymekhanos), il signore dalle mille vie (polytropos), l’Illustre (polyainos), lui, il Divino (theios) Odisseo.
«Nessun’altra successione o progressione se non quella cronologica. Ma un centro, un cuore, un’anima: Creta, la sua patria.» (1)

sabato 7 marzo 2020

Odisseo: nei Sacri Giardini Segreti

Una Dea alla quale consacrare le acque e tutte le meraviglie vegetali manifeste, una Dea dal volto di fiori, nelle cui corolle contemplare la bellezza del cosmo, Lei così piena e ricca, Creatrice e Signora della Non-Morte. Nel Giardino Segreto, nelle erbe solo la tellurica presenza d’Ella, che sovrintende alla fertilità e alla fecondità.

Per i greci il giardino non era come un’opera d’arte, tuttavia Omero ce ne mostra due tipologie nell’Odissea: il Giardino Della Fecondità quello di Alcinoo, la cui bellezza e ricchezza corrispondono ai suoi frutti sempre presenti, dove vengono bandite le stagioni, dove è eterna primavera, ed essa viene immortalata nell’immagine di alberi dove frutti e fiori rendono ricchi i rami allo stesso tempo, nella stessa stagione.
E poi v'è un altro giardino, il Giardino Degli Immortali, la Casa della ninfa Calipso, dove la natura non è più solo la feconda produttrice di frutti e fiori, ma in essa si ricerca la bellezza e l’armonia primordiale fra l’uomo e il paesaggio che lo circonda, dove si ricerca l'antica e autentica bellezza della Grande Madre nel suo aspetto selvaggio ed indomito.

“La Natura, Femmina Antica potente ed Arcana, è il corpo della Grande Madre, un corpo che nell’Odissea non è solo paesaggio che completa un canto epico e che colloca le relazioni degli umani in diversi quadri. E’ un corpo partecipe che dona, toglie e rinnova, che è vita, morte e rinascita, che è complice degli intrecci sentimentali e delle avventure, complice della magia dei Passaggi, delle Soste, complice delle morti iniziatiche, delle trasformazioni e delle metamorfosi.” (1)

giovedì 5 marzo 2020

Fragola: il frutto del Rinnovamento

Fragola, frutto solare, promessa di abbondanza e di rinnovamento. Dopo l’oscurità invernale, scioltasi la neve, con il primo caldo compare lei, rossa, polposa e succosa, profumata, bella come una danzatrice.

Secondo Cattabiani, nel suo Florario la fragola è legata ai culti solari. Ci sono alcune leggende che narrano di fragole divenute carrozze solari; una leggenda tedesca racconta che prima della notte di San Giovanni, le madri che avevano perduto un figlio evitavano di mangiare la fragola, frutto caro alla Madonna, per evitare di recarle offesa. Si riteneva infatti, che i bambini morti prematuramente, raggiungessero il Paradiso dentro al frutto della fragola. Per tale ragione, le madri evitavano di mangiare il frutto, poiché consumarlo equivaleva a distruggere la carrozza che portava i figli verso il divino.
Sempre Cattabiani, racconta che secondo un canto popolare inglese, i pettirossi coprivano i corpi dei figlioletti morti nella foresta con le foglie di fragola. “Il significato del mito è chiarissimo: la foresta rappresenta sia la notte sia l’inverno, quando il sole scompare realmente o simbolicamente nelle tenebre dei senza luce. Sicchè il pettirosso morto e sepolto sotto le foglie di fragola allude nel bestiario simbolico all’eroe o all’eroina solare perduti o morti nel bosco per il maleficio di una strega, ma in attesa di «tornare alla luce», cioè alla futura salvezza o resurrezione come i rossi frutti a primavera.” (1)

martedì 3 marzo 2020

Maslenitsa e le feste del Risveglio

La fine dell’inverno è costellata da bellissime feste in tutto il Mondo. Forse queste feste sono il primordiale bisogno degli umani di richiamare all’attenzione il giovane Dio dormiente che rende la Primavera e l’Estate più grata ed i campi più abbondanti di raccolto.

Mentre il rigore dell'inverno ancora ammanta di incantata bellezza la Natura, gli abitanti del villaggio si raccolgono intorno a scivoli di ghiaccio ed intonano bellissimi canti per risvegliare il dio Jarilo, sacrificando la Signora dell'Inverno, la Terribile e temuta Morana. Percorrono le viuzze con le loro slitte addobbate da nastri e specchi, con le sedute coperte da pelli di pecora, nei loro tradizionali e allegri vestiti che raccontano di un ricco folclore e tra gridolini di gioia, invocano il Risveglio del giovane Dio della Vegetazione

Domenica in Russia si è conclusa la settimana dedicata ad una delle più belle feste che ancora perdurano in Europa: Maslenitsa. Un'antica festa pagana, che vista l'impossibilità per il sopraggiunto Cristianesimo di estirparla dai cuori della popolazione, hanno adottato nel calendario ortodosso spostandola di data. Ora la festa coincide con la settimana prima dell'inizio della Quaresima, mentre in antichità pare coincidesse con la festa della Candelora, come accade per i francesi e la loro bellissima Chandeleur.

lunedì 2 marzo 2020

Zalmoxis: l'Immortalità dell'Anima

old Zalmoxis - Author unknown
Zalmoxis, il fanciullo dalla pelle d'orso, il cui viaggio iniziatico segna un percorso della spiritualità degli antichi popoli rumeni, il cui culto misterico viene spesso paragonato a quello di Sabatio, il trace Dioniso.

In un tempo lontano, nel tempo in cui gli esseri umani conoscevano solo la pace e la felicità, in quei luoghi dove nulla poteva turbare la serenità e la quiete dell’animo umano o dei luoghi in cui essi vivevano, nei luoghi benedetti dalle parole sacre dei sacerdoti delle vecchie tradizioni, esisteva una terra ricca, con montagne e boschi e cacciagione a volontà, dove la terra offriva il meglio di se e il raccolto abbondava, ricca di tutto ciò che la terra nelle sue profondità custodiva. I greggi avevano erba a volontà, un’erba così ricca che non esisteva su altro luogo del pianeta, e le api producevano un miele così dolce che in nessun altro luogo altre bocche avevano assaggiato.
Tutte queste ricchezze erano possedute da un popolo coraggioso e lavoratore, orgoglioso e onesto. Ursitoarele, le tre donne della sorte, erano dalla parte di questi uomini che non erano altri che i geto-daci. Tutto ciò che le Ursitoare predicevano si avverava e il popolo faceva quanto in suo potere affinché le ricchezze abbondassero.
Ebbene, un giorno in seno a questo popolo nacque un giovane che avrebbe conosciuto un destino singolare: avrebbe portato sulle sue spalle le sorti del popolo dacico e mai né mente né animo avrebbero conosciuto il passare del tempo. Lo spirito sarebbe sempre stato giovane e il cuore in eterno avrebbe battuto per i suoi sudditi. Ma Zalmoxis, perché questo era il nome del giovane, non poteva ancora conoscere la sorte che gli era destinata.

Nel Giardino di Ecate: il Croco



Specie più note:Crocus sativus, crocus vernus, crocus albiflorus, crocus balcanicus, crocus etruscus, crocus flavus, crocus graveolens…etc

Altri nomi:Croco di giardino, croco invernale, zafferano.

Famiglia: Iridaceae.

E’ noto nei prati primaverili per i suoi colori meravigliosi. Vi sono più di 70 specie, ma di certo la più nota ed interessante è quella del crocus sativus, ossia lo zafferano.
La pianta è una iridacea; a pianta adulta è costituita da un bulbo-tubero di un diametro di circa 5 cm. Il bulbo contiente circa 20 gemme indifferenziate dalle quali si originano tutti gli organi della pianta, in genere però sono solo 3 le gemme principali che daranno origine ai fiori e alle foglie, mentre le altre, più piccole, produrrano solo bulbi secondari. Durante lo sviluppo vegetativo dalle gemme principale del bulbo si sviluppano i getti, uno per ogni gemma principale; per cui da ogni bulbo ne spunteranno circa 2 o 3. I getti spuntano dal terreno avvolti da una bianca e dura cuticola protettiva, che permette alla pianta di perforare la crosta del terreno.Il getto contiene le foglie ed i fiori quasi completamente sviluppati, una volta che è fuoriuscito dal terreno si apre e consente alle foglie di allungarsi e al fiore di aprirsi completamente.Il fiore dello zafferano è un perigonio formato da 6 petali di colore violetto intenso. La parte maschile è costituita da 3 antere gialle su cui è appoggiato il polline. La parte femminile è formata dall'ovario, stilo e stimmi. Dall' ovario, collocato alla base del bulbo, si origina un lungo stilo di colore giallo che dopo aver percorso tutto il getto raggiunge la base del fiore, qui si divide in 3 lunghi stimmi di colore rosso intenso. Le foglie del Crocus sativus sono molto strette e allungate. In genere raggiungono la lunghezza di 30/35 cm, mentre non superano mai la larghezza di 5 mm.Il Crocus sativus è una pianta sterile triploide, è il risultato di una intensiva selezione artificiale di una specie originaria dell'isola di Creta, il Crocus cartwrightianus. Una selezione messa in atto dai coltivatori che cercavano di migliorare la produzione degli stimmi. La sua struttura genetica lo rende incapace di generare semi fertili, per questo motivo la sua riproduzione è possibile solo per clonazione del bulbo madre e la sua diffusione è strettamente legata all'assistenza umana.

domenica 1 marzo 2020

Martisor: Dono di Primavera


"Racchiusa nei grembi cerulei, aereiforme, era di tutto sovrana, beata compagna di Zeus, che offrì ai mortali brezze gradevoli che nutrono la vita, madre delle piogge, nutrici dei venti, origine di tutto.
Senza di te nulla conobbe affatto la natura della vita, perchè, mescolata all'aria santa, tutto partecipi, infatti tu sola domini e su tutto regni, agitata sull'onda con sibili d'aria.
Ma, Dea beata, dai molti nomi, di tutto sovrana, vieni benevola rallegrandoti nel bel volto." (Inno Orfico a Giunone)


Snowdrop by Jacky Parker
In una dolce radura, ai piedi delle betulle, la neve scioglie lentamente il suo candore sotto il tepore del sole. I primi raggi invitano i capolini curiosi dei fiori a spingersi oltre la coltre sottile di neve e di secche foglie. Dopo la gestazione del periodo invernale, la Natura si contrae, e nelle ritrovate forze un’ultima spinta porta il suo soffio vitale, quella Forza Creatrice e Datrice di Vita che tutto rende fecondo.
In Romania, questo momento viene celebrato con la festa del Martisor. E’ una parola che difficilmente riuscirei a tradurre in italiano per voi, ma la parola stessa, martisor, richiama proprio il mese di marzo, in latino martius.
E’ una festa tipica della tradizione rumena che celebra l'arrivo della primavera e che dura solitamente 12 giorni. Per l'occasione vengono regalati portafortuna a tutte le donne, da tenere appesi accanto al cuore, in segno di gratitudine e quale riconoscimento della loro Forza Creatrice.

Si crede che gli oggetti indossati portino fortuna, fecondità e felicità.
Le più tradizionali spille martisor sono fatte con due fili di seta intrecciati, uno rosso e uno bianco, a simboleggiare l'inverno e la primavera, il principio maschile ed il principio femminile.
In antichità questi oggetti venivano confezionati durante l'inverno per poi essere indossati con l'arrivo della primavera.
Questa tradizione nasce, secondo studi archeologici, circa 8000 anni fa, nella fascia danubiana, in quelle che oggi sono le terre della Bulgaria del nord e la Romania del sud, anche se i primi reperti che ne attestano l'esistenza risalgono a 3000 anni fa.
I daci usavano portare delle piccole pietruzze bianche e rosse appese ad un filo. Altri tipi di martisor erano un filo bianco ed uno nero di lana, intrecciati, ai quali venivano appesi delle monetine. A seconda del tipo di moneta, se d'oro, d'argento o bronzo veniva indicato lo stato sociale.
I daci credevano che indossando queste monetine con il filo intrecciato avrebbero avuto fortuna, abbondanza e bellezza; credevano che proteggesse dalle scottature del sole estivo e venivano indossate fino alla fioritura degli alberi dopo di che venivano appese ai rami in segno di gratitudine verso la Madre che tutto aveva reso fertile e fecondo e tutto aveva fatto fiorire nuovamente.
In alcune zone dell’attuale Romania, erano i fanciulli a portare i due fili intrecciati attorno al collo, per un periodo di 12 giorni. Trascorsi quei giorni i fili venivano appesi ai rami di un albero. Se durante l’anno, l’albero avesse avuto una fioritura copiosa il fanciullo avrebbe avuto una vita lunga, felice e fortunata.