sabato 7 marzo 2020

Odisseo: nei Sacri Giardini Segreti

Una Dea alla quale consacrare le acque e tutte le meraviglie vegetali manifeste, una Dea dal volto di fiori, nelle cui corolle contemplare la bellezza del cosmo, Lei così piena e ricca, Creatrice e Signora della Non-Morte. Nel Giardino Segreto, nelle erbe solo la tellurica presenza d’Ella, che sovrintende alla fertilità e alla fecondità.

Per i greci il giardino non era come un’opera d’arte, tuttavia Omero ce ne mostra due tipologie nell’Odissea: il Giardino Della Fecondità quello di Alcinoo, la cui bellezza e ricchezza corrispondono ai suoi frutti sempre presenti, dove vengono bandite le stagioni, dove è eterna primavera, ed essa viene immortalata nell’immagine di alberi dove frutti e fiori rendono ricchi i rami allo stesso tempo, nella stessa stagione.
E poi v'è un altro giardino, il Giardino Degli Immortali, la Casa della ninfa Calipso, dove la natura non è più solo la feconda produttrice di frutti e fiori, ma in essa si ricerca la bellezza e l’armonia primordiale fra l’uomo e il paesaggio che lo circonda, dove si ricerca l'antica e autentica bellezza della Grande Madre nel suo aspetto selvaggio ed indomito.

“La Natura, Femmina Antica potente ed Arcana, è il corpo della Grande Madre, un corpo che nell’Odissea non è solo paesaggio che completa un canto epico e che colloca le relazioni degli umani in diversi quadri. E’ un corpo partecipe che dona, toglie e rinnova, che è vita, morte e rinascita, che è complice degli intrecci sentimentali e delle avventure, complice della magia dei Passaggi, delle Soste, complice delle morti iniziatiche, delle trasformazioni e delle metamorfosi.” (1)


I luoghi come ‘sacro’ furono alla base della cultura greca, e questo fece sì che i greci attribuissero ai luoghi naturali, quali pianure, montagne, boschi, fonti d’acqua, precisi significati simbolici.
Tale concezione determina l’edificazione e la dislocazione degli edifici religiosi  quali templi e santuari e di altre tipologie (vedasi i teatri in luoghi prescelti dei quali i Greci rispettano la conformazione naturale del paesaggio, adattando ad essa l’architettura e non viceversa), integrando l'operato dell'essere umano alla natura e non modellando la natura in base alle esigenze dell'edificazione. Così boschi e fonti divennero (o possiamo affermare rimasero) Templi Naturali nei quali adorare le divinità.
Analogamente ai manufatti architettonici, anche i giardini degli dei scaturiscono dalla concezione sacra dei luoghi e degli alberi visti come personificazioni divine.
Il bosco è dimora e protezione degli dei ed avvicina l’uomo alla natura e al divino.
In esso vengono eretti, a conferma della sua sacralità, monumenti, colonne, cippi, celle e tumuli.
L’idea di un sito naturale consacrato e caro agli dei ha quindi origine greca, nel nostro caso. Vergine, selvaggio e incolto, dove la natura esprima la parte più pura e manifesta di sé, ma pur sempre piacevole alla vista.
Un giardino sacro, antitetico rispetto alla concezione che si ha della natura quale luogo di sfruttamento agricolo, posto nella mani degli umani al fine di coltivare ed ‘umanizzare’ quindi il territorio. Un bosco vergine e selvaggio è quanto la natura Divina manifesta di sé, un appezzamento di terreno è l’ossessione tipicamente umana dell’intrappolare e schematizzare l’esuberanza della Natura Sacra. Ma anche nelle ossessioni umane, la Natura sa prevalere in bellezza, manifestandosi ovunque, irrompendo in quelli che sono gli schemi della civilizzazione.
I luoghi che Omero ci descrive, sono la perfezione divina del Giardino dell’Eden, i Giardini Pensili di Babilonia, massima aspirazione della perfezione che la natura divina ha concesso all’uomo.
Acque canterine che attraversano terre boscose e profumate, dove giacinti, crochi e viole odorose riposano all’ombra di cipressi e cedri, nella luce di delicati meriggi, dove foglie di pioppo lucenti tintinnano al soffio dolce di Zeffiro.
Questo è il locus amoenus, un luogo di delizie naturali tali da confortare e ricreare lo spirito, rinnovarlo e liberarlo.
Il locus amoenus è definito da Ernst Curtius come paesaggio "ideale'', un luogo dove il tempo è immutato, cristallizzato, caratterizzato da un’eterna bellezza, fertilità e grazia.
Nell'Odissea il locus amoenus per eccellenza è la grotta di Calipso. Qui la natura è bella, serena, priva di tragicità, come si può osservare nella descrizione della grotta di Calipso (V 63-74) ma ugualmente nel fertile giardino di Alcinoo (VII 112-132), o ancora nella grotta di Itaca consacrata alle Ninfe (XIII 102).

[...]Grande vi splendea foco, e la fragranza
Del cedro ardente e dell'ardente tio
Per tutta si spargea l'isola intorno.

i pioppi vi cresceano e gli alni
E gli spiranti odor bruni cipressi

Giovane vite di purpurei grappi
S'ornava e tutto rivestìa lo speco.
Volvean quattro bei fonti acque d'argento,
Tra sé vicini prima, e poi divisi
L'un dall'altro e fuggenti; e di vïole
Ricca si dispiegava in ogni dove
De' molli prati l'immortal verzura.

Dell'isola il guidò, dove alte piante
Crescean; pioppi, alni, e sino al cielo abeti,
Ciascun risecco di gran tempo e arsiccio,
Che gli sdruccioli agevole sull'onda.

E costrusse il timon, che in ambo i lati
Armar gli piacque d'intrecciati salci
Contra il marino assalto, e molta selva
Gittò nel fondo per zavorra o stiva.[...]

Un paradiso bello e rigoglioso quello di Ogigia, l’eburnea conchiglia che nasconde la bella Calipso, così meraviglioso da affascinare e stupire persino Hermes.
Un'oasi di fecondità che emerge dal mare, per definizione atrúgetos (infecondo), come recita uno degli epiteti omerici.
Un bosco rigoglioso si distende a coprir l’isola; qui svettano ontani, pioppi e odorosi cipressi. L’argento delle foglie del pioppo e del verde cupo dei cipressi caratterizzano il paesaggio quanto le bianche spiagge e l’oscura e protettiva spelonca della bella ninfa.
Ci sono prati fioriti di viole e cristalline e canterine acque sgorgano da quattro fonti, numero magico della perfezione e dell'ordine, che si diramano in direzioni opposte. All’ingresso della grotta di Calipso si allunga una vigorosa vite dal ricco fogliame e dagli abbondanti grappoli purpurei, frutti cosmici redentori che riconciliano l’uomo con la Sacra Natura.

V’è un altro giardino che colpisce invece per la ricchezza e l'abbondanza delle verdure e degli alberi da frutto, un orto botanico destinato a salvaguardare il prezioso patrimonio vegetale della Dea. Il rigoglioso Giardino di Alcinoo che si allunga fuori dalle mura del palazzo, è un tipico giardino mediterraneo dove le piante producono abbondanti frutti a ciclo continuo, costantemente, dove le stagioni sono tutte fuse in una sola, cristallizzate nel Tempo senza Tempo.

[...] Folto di pioppi ed a Minerva sacro
Ci s'offrirà per via bosco fronzuto.

Alte vi crescon verdeggianti piante,
Il pero e il melagrano, e di vermigli
Pomi carico il melo, e col soave
Fico nettáreo la canuta oliva.

Abbarbicata
Vi lussureggia una feconda vigna,
De' cui grappoli il sol parte dissecca
Nel più aereo ed aprìco, e parte altrove
La man dispicca dai fogliosi tralci,
O calca il piè ne' larghi tini: acerbe
Qua buttan l'uve i redolenti fiori,
E di porpora là tingonsi e d'oro. [...]

I peri, i meli, i fichi, i rigogliosi tralci di vite mostrano contemporaneamente verdi germogli, fiori, frutti acerbi e frutti maturi, proprio come avessero fuso in sé le stagioni, come se avessero cristallizzato ogni aspetto della natura fertile. Vi sono anche due fonti, una irrora cristallina e fresca tutto il giardino, l'altra invece corre attraversando gli orti e tracciando la terra fino al palazzo del Re, fornisce la sua fresca acqua agli abitanti.

Se Ogigia è simbolicamente l'Isola della Fecondità e del mistero della vita, poiché nel suo fitto vigore viene celata la Creazione ed il Mondo Altro, il giardino di Alcinoo invece, in quanto organizzato razionalmente, è l'emblema di un mondo civile che ha sottomesso l’abbondanza della natura al rigore del pensiero umano; ma la natura in quanto Divina e Sacra, non si dissolve nella pochezza degli umani, ma si libera nella Sua più naturale armonia, nel rigoglio e nell'annullamento del Tempo.

Al di là dei diversi significati simbolici che essi sottintendono, questi due paesaggi omerici hanno caratteri comuni che confluiranno nella definizione del locus amoenus della letteratura successiva. Ma come molti significati riassumono in sé i due meravigliosi giardini, altrettanti significati meravigliosi custodiscono i singoli alberi e fiori dei due giardini.


Gli Alberi Cosmici e le Soglie dell’Aldilà nel Giardino di Calipso

Nel bagliore abbacinante del giorno, fra le canterine acque che nelle quattro Sacre Direzioni si tuffano, s’erge ombrosa la Grotta di Calipso. Davanti e tutto intorno alla sua casa una trapunta di viole, quale Porta verso il Mondo Altro, simboli di Trasformazione.
Tralci di vite s’annodano come una porta all’ingresso della grotta, una porta che guida verso il cambiamento. La metamorfosi simbolica della vite rivive nel mito di Dioniso e questo molto ci insegna. Lui che è il dio ‘nato due volte’, lui Fanciullo innocente sacrificato, vittima della violenza titanica, smembrato dalla gelosa e furibonda Hera e ricomposto dall’amorevole Rea. Egli è il vero simbolo della metamorfosi del Fanciullo, poiché dalle ceneri delle sue membra bruciate nacque la Vite.
Tutto questo mi invita a pensare come Odisseo, giunto fino a qui, debba affrontare la sua metamorfosi nella casa di una dea immortale. Passata la Soglia della grotta, lascia il mondo Conosciuto per il Mondo Altro, e qui, segreto è il suo passaggio, poiché la Nasconditrice tutto tace nelle brume tiepide della sua isola.

Ad ombreggiar le rocce bianche dove le ninfe più liete riposano, ci sono cipressi profumati e pioppi ed ontani, tutti nel loro intento di esser Porta verso il mondo che non si conosce.
Fallico cipresso, simbolo di fertilità, che sempreverde ed incorruttibile nella tua ‘carne’ ci ricordi l’Immortalità. E poco importa se i poeti greci di te han fatto un albero dei defunti, forse vivo fu Odisseo nella segreta reggia di Calipso?!
Dolce pioppo dalle tonde foglie, nel tremar al soffio dolce di Zeffiro tu suoni le tue musiche ed accompagni la dolce voce della bella Calipso. Che neri v’ergete nel bosco di Persefone, a delimitar quel che si vede da quel che al mondo illusorio si nasconde.
E tu misterioso Ontano che nelle acque tuffi le tue radici, ed incorruttibile rimane la tua carne, sotto le limpide linfe proteggi il segreto della grotta con i tuoi alti fratelli.
E s’ode voce cristallina risuonare nella grotta, mentre fumi d’arso legno di cedro circondano tutto. Lui che maestoso, simbolo d’Immortalità e di Eternità, diventa protettore, capace di respingere il male.

E tace l’Olimpo dove più alte son le fronde a celare la Culla della Trasformazione, dove più dolce è l’effluvio di viole e più fresche le acque che corrono verso le quattro direzioni.


Nella casa delle Grandi Madri: il Giardino di Nausicaa


E dalle stanze del Palazzo, rigoglioso si scorge il giardino d’Alcinoo. Dalla zuccherina ombra di meli, di fichi e di pere, prodigiosi due rivoli d’acqua irrorano le terre. Ed una fonte è linfa nutrice del Giardino Segreto mentre la sua gemella sorella corre tra i ciottoli levigati e i loggiati adombrati da fitte fronde dove solo pochi diletti raggi filtrano nei pomeriggi caldi.
Dolce, di miele perdi le gocce, nelle tue morbide forme ricordi il femmineo pudore, grazioso e fecondo, caldo di sole nelle tue liete fronde, fico fecondo.
Pero dai succosi frutti, nasci insieme alle figlie primogenite e con Nausicaa alla corte un nuovo mondo di Madri rivive. Bianca polpa come carne di luna, zuccherina a deliziare le bocche.
Mela gradita alla Madre, frutti salvifici produci. Poiché nella tua mirabile bellezza e perfezione tutto si rivela e all’immortalità e saggezza l’uomo conduci.


La Migrazione dell’Anima e la Manifestazione di Kirke


Il Loto, fiore della manifestazione e dell’illuminazione, organo riproduttivo delle acque cosmiche, fiore che s’apre per dare la vita. Lui è l’utero fecondo della Madre, che lento si dischiude al mondo, Colei che elargisce la lieta vita.
Ma la Grande Madre non è solo Colei che dona, ma toglie anche la vita. Ella nella cultura indiana e buddista è l’Onnipresente, è la Parola, la Prudenza, la Devozione, la Creazione, la Grazia e la Fecondità ed in ogni manifestazione di questi attributi lei è accompagnata dal fiore del loto.
Per gli egizi aveva una tale importanza questo fiore, tanto da ritrovarsi frequentemente in molti elementi architettonici. L’amata Iside lo portava sullo scettro a simboleggiare la fecondità delle acque del Nilo.

E per tornare al nostro Odisseo, Omero ci narra come, dopo dieci giorni di venti furiosi, questi approdò insieme ai suoi compagni nella terra dei Lotofagi.
Molte sono le ipotesi che si sono fatte in merito a quale fosse la reale pianta. Questi che Omero evoca, potrebbero essere i frutti della Nymphea Lotus, conosciuti anche come ‘fagioli di Pitagora’ dal dolce profumo e con proprietà calmanti, l’immagine ideale dell’oblio.
Calmare i sensi e le fatiche, liberare la mente dalle umane preoccupazioni per meglio accedere al Regno della Conoscenza, al Mondo che si rivela al buon viaggiatore, colui capace di migrare verso l’Altro.

Ma nella letteratura di Omero, altra meravigliosa pianta viene citata, una pianta magica denominata moly, che alcuni studiosi hanno identificato con la mandragora, anche se l’individuazione è piuttosto discussa.
Nell’Odissea, Omero ci racconta come l’erba moly sia il dono di Hermes a Odisseo affinchè questi potesse vanificare i tentativi dell’acuta e incantatrice Kirke.
Eustazio riporta un mito di origine dell’erba moly. Il gigante Picoloo si era perdutamente innamorato della bella maga Kirke tanto che volle rapirla. Intervenne però il dio Helios, padre Sole della grande maga, che uccise il gigante e dal suo sangue sparso sulla terra germogliò l’erba molly. Il suo fiore dal biancore abbagliante proviene dall’abbacinante luce di Helios e la sua nera radice è come il nero sangue del gigante Picoloo.
In questo mito incontriamo due temi essenziali, quello della morte violenta e quello della nascita miracolosa, comuni ad altri racconti mitici. L’erica nasce intorno al cadavere di Osiride, la violetta dal sangue di Attis, la rosa e l’anemone dal sangue di Adonis, la melagrana e il timo rispettivamente dal sangue di Dioniso e dei Coribanti, mentre un’altra erba nasce dal sangue di Prometeo.

Le Migrazioni dell’anima e la loro Trasformazione sono passaggi fondamentali nel mito e anche nella storia del nostro Odisseo. L’uomo muta forma, e tanto più violento è il passaggio, tanto più bello e gratificante è il risultato della Trasformazione, tanto più potente e significativa la Rivelazione. Ma nulla può esser detto a parole, poiché nessuna parola può spiegare la bellezza dell’Iniziazione, della Trasmigrazione, della Rivelazione e della Conoscenza. Si può solo sperare che nel lungo cammino della nostra vita una porta vegetale di tralci di vite sveli una grotta nella quale trovar rifugio e dove la benedizione delle Antiche Splendenti Madri posi la luce nei nostri cuori e nella nostra mente colmando gli occhi di Bellezza.

Nota (1) R. Sendroiu, L'Anatra Regina. Di Penelope e di altre donne

Bibliografia:

F. Cardini-M. Miglio
, Nostalgia del Paradiso, Laterza 2002.
L. Impelluso, La natura e i suoi simboli, Electa 2003.
A. CattabianiFlorario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Oscar Saggi Mondadori 2006
http://www.sdasr.unict.it/materiale/LS_Storia%20del%20giardino.pdf


Articolo scritto da Rebecka. Severamente vietata la riproduzione. anche in parte, senza il consenso dell'autrice e senza citarne la fonte.

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